Un film che racconta il ritorno a Napoli di Giordano Forte (Servillo), uno scrittore che ha sempre narrato la sua città e che ha deciso di non scrivere più, perché ha perso l’ispirazione e crede di non aver più niente da dire. Ma c’è una storia che non può dimenticare, quella del suo amico Caracas – il soprannome che si era dato – ed è la sola che vuol raccontare, magari scrivendo un finale diverso rispetto a quanto accaduto nella realtà.
Caracas è un film onirico e sognante, ricco di scene violente (iniziale e finale), che indaga il sottobosco di Napoli ferrovia (il romanzo di Ermanno Rea, cantore di Napoli), la commistione multietnica di una città molto cambiata, il rapporto tra gruppi neofascisti e musulmani, senza dimenticare la poesia di un luogo perduto.
Marco D’Amore cita a dovere Il posto delle fragole in certi episodi che segnano i passi del ritorno, la visita alla casa natale, l’orfanatrofio dove lo scrittore ha conosciuto i suoi amici, il mare che non ha più lo stesso odore di un tempo, la vita che se tu sapessi come va a finire non avresti motivo per viverla. Poesia pura, scena dopo scena, al punto che si perdonano alcune incertezze di sceneggiatura e un po’ di confusione narrativa, perché il film colpisce nel segno e resta nel cuore dello spettatore (preparato). Certo, dobbiamo fare un po’ di sforzo, non è tutto preconfezionato, c’è da capire, dobbiamo calarci nei panni dello scrittore che vive le giornate napoletane in compagnia dei suoi personaggi e che sogna di scrivere per loro un futuro felice.
Caracas (D’Amore) è diventato neofascista perché bullizzato da piccolo, quindi ha trovato rifugio in una famiglia di squadristi e picchiatori, tutti lo chiamano così perché ha messo in giro la voce di essere nato in Venezuela, mentre è suo padre a essere scappato in Sudamerica dopo averlo abbandonato. Caracas s’innamora della bella Yasmina (Lumbroso), purtroppo tossicodipendente, vuol diventare musulmano e prende a cuore la difesa dei suoi amici arabi perseguitati.
Fotografia cupa di una Napoli notturna curata da Stefano Meloni; montaggio concitato di Mirko Palatania, che alterna bene la dimensione onirica con la realtà; colonna sonora di Rodrigo D’Erasmo, che miscela musica partenopea e sonorità arabe. Marco D’Amore dirige con mano ferma un film che sceneggia, insieme a Francesco Ghiaccio, adattando con cura il romanzo di Ermanno Rea.
Toni Servillo è straordinario nella parte del vecchio scrittore che ritorna sui luoghi del passato e non ne comprende il motivo, fino a quando la storia da narrare non lo cattura. Poetica la sua voce fuori campo che accompagna le immagini e il racconto di alcune sequenze visive che (su grande schermo) sono una gioia per gli occhi. Marco D’Amore convince anche come attore in un ruolo complesso da ex fascista innamorato, così com’è brava l’esordiente Lina Camelia Lumbroso.
Un film che fa pensare. Cinema vero, una tantum scritto e diretto da un giovane regista italiano; pur con i difetti che abbiamo cercato di indicare, la sostanza supera le incertezze, al punto che in quest’opera seconda D’Amore trova una meritata conferma d’autore. Se l’avete perso al cinema, recuperatelo sule piattaforme. Non è la stessa cosa, a mio parere, ma sempre meglio che niente…