Silvia Accorrà – Tokyo Love

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1997

Una fotografa occidentale viene ospitata a Tokyo da Minako-san (zia Minako), una donna giapponese che, oltre le maschere impenetrabili della dissimulazione tipicamente orientali, le riserva un’accoglienza profonda e sincera; nella sua casa conoscerà Mimi, nipote di Minako, una strana ragazza che muterà la sua esistenza fino a trasfigurarla.

Quella di Silvia Accorrà  è una narrazione rarefatta, in bilico tra realismo e fantastico, cucita addosso ai suoi personaggi come vesti finemente confezionate: non c’è una parola fuori posto e la scrittura si incide sulla pagina in modo preciso e inequivocabile, in contrasto con l’ambiguità della vicenda narrata. Una vicenda che fa appello tanto alla ragione (quella cui si appella la protagonista per comprendere i prodigi che le occorrono) quanto al sentimento (che si spinge oltre qualsiasi logica e ragionevolezza perché può essere letto soltanto con la fede –e quale fede è più grande dell’amore?).

Su uno sfondo urbano pieno “di ponti, sottopassaggi, cavalcavia, snodi stradali”, la fotografa rimane incantata da Mimi fin dalla sua prima apparizione, e il suo timido innamoramento si trasforma presto in un sentimento condiviso. Ma l’amore saffico non è l’argomento centrale del libro, e viene presentato con una tale delicatezza, con una tale mancanza di ostentazione, da farlo rientrare nell’armonia del creato, nella naturalezza dell’esistenza. Un amore puro come pochi. Le parole che l’autrice adopera nel descriverlo sono così soavi e sfumate da consentire a noi lettori di vivere la loro relazione con la stessa morbidezza e lievità con cui l’accolgono le protagoniste.
L’elemento fantastico, inquietante, s’insinua piano piano, solo quando oramai sembra assodato il taglio realistico del romanzo; parimenti la protagonista fatica ad accettarlo, nonostante per Minako-san e per Mimi paia rientrare perfettamente nell’ordine delle cose. Così le figure fantasmatiche, tipiche della tradizione giapponese, si materializzano stagliandosi evanescenti sullo sfondo di una città fitta di grattacieli e luci abbaglianti, unendo il contemporaneo all’ancestrale senza soluzione di continuità. La città stessa sembra rallentare e quasi immobilizzarsi di fronte all’immanenza del meraviglioso.
Narrando la vicenda come un divenire, l’autrice ci permette di vivere il susseguirsi degli eventi come se fossimo lì, al fianco dell’anonima protagonista, ponendoci i suoi stessi dubbi, cercando le sue stesse risposte, manifestando le medesime curiosità. Il nostro sguardo di occidentali ha tutto il tempo di adattarsi agli enigmi d’oriente, di percepire quanto l’ineluttabilità appartenga ai presagi come all’amore, di comprendere come la cecità della vita corrisponda al discernimento della morte e di come reale e irreale siano soltanto piani sovrapposti. Perché l’improbabile è sempre possibile e il mistero, insondabile come la morte e come la resurrezione, non si chiude mai del tutto: ne avvertiamo la consequenzialità, le connessioni magnifiche e agghiaccianti.
Silvia Accorrà riesce a mettere in scena l’impalpabile, valicando le frontiere dell’apparenza, e la realtà sembra mostrare la propria filigrana indecifrabile, quella che non osiamo sondare per timore di doverla guardare come attraverso uno specchio: una realtà che si manifesta per allusioni, per sottintesi, per insinuazioni. E che ci porta a fare sogni profetici, a leggere il futuro, a prevedere che cosa potrebbe accadere dietro la soglia che non siamo certi di voler varcare.
Anche a noi lettori viene dato di preconizzare un finale, di paventarlo, sperando che non si avveri, come nelle migliori tragedie. Ma perfino in questo l’autrice ci sorprende: perché nulla è come ce l’aspetteremmo, e il realizzarsi di una tragedia annunciata si trasfigura in una metamorfosi spiazzante.
La narrazione soave, sfumata e la scrittura limpida, densa di particolari sorprendenti, rendono coinvolgente e appassionante la lettura, che è di rara immediatezza. Non si sa mai che cosa succederà nella pagina successiva, e lo si attende con trepidazione.
Un romanzo prezioso, raffinato, che si imprime nella mente come un’esperienza, delicato e travolgente allo stesso tempo; si legge d’un fiato e assorbe completamente.
Un sortilegio narrativo cui è impossibile resistere.

“La verità dietro l’apparenza”, la nostra intervista esclusiva a Silvia Accorrà

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022, insieme a Viviana E. Gabrini). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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