Immaginate che nel 1948 la creazione dello Stato d’Israele sia fallita e la Terra Santa sia completamente in mano agli arabi, mentre uno stato ebraico sia stato, in seguito, fondato in un distretto dell’Alaska, con l’accordo che cinquant’anni dopo il territorio sarebbe tornato nelle mani dei nativi.
In questo scenario, che l’autore rende efficacemente senza servirsi di troppe descrizioni che appesantirebbero una trama già molto complicata, quando mancano solo due mesi al fatidico giorno in cui gli ebrei dovranno nuovamente fare fagotto e cercare un altro posto per vivere, un poliziotto, privato del distintivo che ha sostituito con un tesserino sindacale, indaga sull’assassinio di un geniale scacchista col vizio dell’eroina. La vittima è l’unico rampollo di un rabbino influente e il detective si accorge che la sua morte è legata a un intrigo internazionale che coinvolge i servizi segreti, una setta di fanatici religiosi in attesa del Messia, un’organizzazione paramilitare pronta a far saltare in aria Gerusalemme e perfino lo zio del protagonista, geniale scacchista dal passato torbido.
Il romanzo di Michael Chabon, a prima vista, può spiazzare per la forte presenza di elementi derivati da più generi (specialmente il noir anni Quaranta e la fantascienza), per i personaggi che lo animano e per la scrittura, in cui compaiono molti termini yiddish e riferimenti a quella cultura con la quale non tutti possiamo avere familiarità. Superato il primo impatto, però, ci troveremo di fronte a un racconto ricco di citazioni politicamente scorrette, condito da un fine e frizzante humor venato di disperazione, teso e avvincente, e scopriremo una lettura piacevole e originale, adatta agli amanti del genere nero e a quanti cerchino un giallo che sia più di un libro da spiaggia.
Un romanzo denso come la notte perenne dell’Alaska in cui è ambientato, osannato e vincitore di un diluvio di premi, tra i quali il Nebula e lo Hugo, tutti strameritati.