Questo libro è stato così tante volte analizzato e scandagliato che ormai dubito che qualcuno possa recensirlo senza fare un centone dei risultati delle diverse critiche, peraltro così diverse tra loro che alla fine non si sa esattamente che libro abbia letto ognuno: una traduzione letteraria dei miti scandinavi? Una versione fantasy del Vangelo? Un capolavoro della letteratura inglese? L’esercizio di stile di un attempato professore? Dunque mi limiterò a spiegare perché questo romanzo è piaciuto a me.
Mi piace innanzitutto il tono epico, fortemente evocativo, che ha il sapore delle antiche saghe e delle leggende che ormai nessuno racconta più, perché negli anni, venuta a contatto con le fonti, ho potuto riconoscerle e apprezzare ancora di più il romanzo.
Mi piace quando parla di guerra, di sacrificio e di morte, perché lo fa con realismo ma senza scadere nel patetico, proprio come ci aspetta nelle narrazioni sui veri eroi, e mi piace il fatto che ogni personaggio abbia perfettamente chiaro in mente quale sia il ruolo che deve svolgere: è questo che dà a ognuno di essi forza e coraggio, anche di fronte alle scelte più drammatiche.
Non è vero che Tolkien fu ispirato dalla bomba di Hiroshima (leggenda metropolitana che circola da anni), ma nelle descrizioni delle battaglie e delle conseguenze della guerra ci sono tutto il realismo e la partecipazione commossa di un uomo che ha combattuto la Prima Guerra Mondiale e ha visto il figlio maggiore partecipare alla Battaglia d’Inghilterra proprio negli stessi anni in cui scriveva il suo libro; ho sempre pensato che il personaggio di Theoden fosse più autobiografico di quanto si possa credere.
Un altro motivo per cui amo Il signore degli anelli è che si tratta di un romanzo corale: i protagonisti e campioni del bene sono nove, contrapposti al solitario antagonista del titolo.
Ancora, mi piace che nel libro si racconti la vita secondo i ritmi della natura, contrapposta alla vita dettata dai ritmi imposti dalla tecnologia e dal progresso a tutti i costi, perfettamente descritta nell’episodio in cui sono gli alberi stessi a marciare contro gli orchi che intendono distruggere la foresta; è uno dei primi messaggi ecologisti di cui abbia memoria, e forse per questo ancora oggi è così vivo dentro di me.
Mi piace l’idea che il nemico di Sauron, il signore degli anelli, sia una piccola e pacifica creatura che vive sottoterra, che fa due colazioni al giorno e che la pietà sia in effetti l’arma più temibile che si possa opporre al Nemico: c’è chi vuole vedere in questo elemento una prefigurazione cattolica, ma credo che sia una verità semplice che dovrebbe stare alla base di ogni vivere civile, nonostante spesso sia del tutto trascurata.
Mi piace perché questo romanzo parla di viaggi, lunghi, interminabili, attraverso terre lontane e fantastiche, e credo che la voglia di viaggiare, di scoprire, di conoscere, sia una parte fondamentale della natura umana, così come lo è il sentimento di smarrimento che ci prende di fronte alla difficoltà del viaggio stesso, alla consapevolezza che il mondo è immenso e che girarlo non lo farà mai veramente proprio: non so se sia appropriato definire questo sentimento “ansia d’infinito”, ma è il sentimento che hanno nel cuore sia gli hobbit desiderosi di avventura, sia Aragorn, che vaga alla ricerca di un luogo cui appartenere senza che tale appartenenza apra nel suo cuore nuove ferite.
I personaggi del Signore degli anelli sono sempre alla ricerca di un confronto con qualcosa di più grande, come se volessero mettere alla prova i propri limiti: gli hobbit cercano l’avventura, Boromir cerca un riscatto per la sua gente, Aragorn la pace in un mondo squassato dalla guerra, Sauron il potere. Infine, tutti devono scendere a patti con una realtà che non corrisponde alle loro aspettative: Aragorn non può ignorare il compito che lo aspetta come erede di Isildur, Sauron non può ottenere un potere così assoluto da poter fare a meno della pietà, Boromir pagherà con la vita il tentativo di riscatto degli Uomini e i piccoli hobbit scopriranno che l’avventura può essere sgradevole, perfino mortale.
Un libro che, nel bene e nel male, lascia il segno.