La famiglia Schearl si riunisce, dopo qualche anno di forzata separazione, nella New York dei primi anni del secolo XX, dove il capofamiglia vive già, emigrato dall’Austria in cerca di lavoro e fortuna. Sulla famigliola, però, pesa un remoto e oscuro avvenimento che finirà per condizionare pesantemente il dipanarsi della vicenda, che scopriremo attraverso il punto di vista del piccolo David, io narrante del romanzo. Il suo è uno sguardo da bambino, stupefatto, curioso, smarrito ma del tutto privo di pregiudizi, pertanto un punto di vista privilegiato, e descrive per noi i quartieri più miseri di una New York non ancora “Grande Mela”, ma crogiolo di storie umane disperate e di sentimenti ora violenti, ora teneri e struggenti: un enorme caleidoscopio emotivo che ci affascina e ci disorienta. Henry Roth riesce a farci immedesimare con il narratore a tal punto che, in un processo contrario alla formazione, dobbiamo tornare bambini per entrare completamente nel mondo di David: un mondo di immagini e sensazioni simili a quelle che ci si formano davanti agli occhi quando siamo sul punto di addormentarci, ovvero quando stiamo per passare dal mondo reale a un altro e, come in punto di morte, acquisiamo la capacità di penetrare più profondamente il senso dell’esistenza.
Lettura lenta e a tratti faticosa, Chiamalo Sonno è anche un grande affresco storico dell’America del primo Novecento, la terra “dorata” di chi vi approda in cerca di fortuna, una Babele di lingue, culture, usi diversi che appaiono incomprensibili e quasi magici agli occhi del protagonista, e che richiedono l’utilizzo di molteplici registri linguistici, ottimamente resi nella traduzione di Mario Materassi.
Un romanzo consigliato a lettori perseveranti e motivati: il lettore occasionale potrebbe trovare insostenibile la lunghezza di descrizioni e riflessioni.