RIAPPROPRIARSI DELLA PROPRIA STORIA ATTRAVERSO LA MEMORIA
Grace Nichols è una popolare poeta anglofona e una rilevante voce femminile di cui Bloodaxe Books (una prestigiosa casa editrice indipendente con sede nel Regno Unito) ci ha reso disponibile la voce negli ultimi decenni. È davvero una gioia, per un esigente lettore di poesia così come per uno storico della cultura, verificare come ogni parola sia radicata nella trama della sua esperienza vissuta e immaginata. Il suo nuovo libro, Passport to Here and There, concede a ogni amante della poesia il suo valore, soprattutto nelle poesie più recenti, in cui l’autrice rende sinceri tributi ai grandi, come Derek Walcott e il poeta originario della Guyana Martin Carter.
Questa raccolta colpisce come una matura opera d’arte di una poeta affermata, i cui lavori sono permeati da un’idea di decolonizzazione, da uno sforzo giudizioso nel rivendicare la storia nera, e da tributi ai grandi poeti che sono deceduti negli ultimi anni. Sfogliavo le prime pagine con il ricordo di aver letto alcune sue famose poesie, e di essere rimasto colpito dall’essenza definita ma evocativa che si riconosce in esse.
Il titolo della sua prima raccolta, I is a Long-Memoried Woman (1983), mi risuonava dentro, pensando alla recente rimozione di statue e alla demolizione di altri manufatti percepiti come razzisti oppure coinvolti nella tratta degli schiavi, in un atto che può essere definito “L’ira della storia”.
Chi di noi è consapevole di questa ricerca contro la “cancellazione dal tempo” si accorgerà che ciascuna delle sue poesie si colloca al suo giusto posto, come in un grande puzzle.
Nella raccolta Passport to Here and There Grace Nichols offre momenti di puro piacere ai suoi colleghi poeti in pagine, come ad esempio la poesia “Perso nella traduzione” (tradotta per Inkroci da Valentina Meloni), che potrebbero costituire materiale per i laboratori di scrittura creativa in tutto il mondo. Questa poesia è colma dell’appagamento di un’autrice che vive l’esperienza di poeta di successo (ospite al Festival di poesia di Medellin) e della conseguente ibridazione di lingue e culture.
Alcune liriche accennano al divenire della Storia, alla necessità di documentare i nostri ricordi; “Sweet Fifteen” è una di queste.
I componimenti che riguardano la cancellazione dei ricordi colpiscono una corda nella parte di me che è alla ricerca della propria storia, o ambisce impegnarsi nell’arte della scrittura della Storia. Questi testi potrebbero essere parte di un’esperienza condivisa in tutto il mondo per quella parte di società al di fuori del mainstream.
“Against the Tradewinds” è una poesia che mi coinvolge nel profondo, come il gesto in controtempo di molti lanciatori di cricket delle Indie Occidentali da cui il resto del mondo ha appreso l’abilità nell’ingannare il battitore. Questa lirica possiede la prodigiosa capacità di intrecciare molti aspetti dell’essere una donna, una donna di colore e una “ragazza di colore importante” in una trama di sottintesi, unita alla possibilità di fare da emblema dell’assoluto marchio culturale secondo cui gli scrittori di colore, così come i corpi di colore, hanno bisogno di combattere per far sentire la loro voce. Ciò risulta ancora più evidente se si pensa che i poeti di colore costituiscono solo l’1% della scena poetica contemporanea del Regno Unito.
“Joy-riders” è un’altra poesia che segue lo stesso filone, e potrebbe essere un’allegoria della chimera che spesso i sogni degli emigranti sono destinati alla fine a rappresentare.
Il testo conclusivo, “Atlantic”, ha un’essenza viscerale e sognante, poiché queste poesie ci conducono lungo un arco di perdite e retaggi, di destini irrevocabilmente cambiati. Trovo che questa particolare poesia sia la più radicata nella profondità della storicità e nel mare/oceano, così onnipresente per l’immaginario caraibico da risultare una presenza incombente.
Traduzione dall’inglese di Emilia Mirazchiyska