Elisa Emiliani indaga le sfide e le incertezze dei millennial con profondità e ironia, ambientando il suo romanzo in provincia, nella fattispecie a Faenza. La protagonista, Sonia, è un’artista in crisi d’ispirazione e d’identità, particolarmente colpita dalla perdita di Telma, sua mentore e direttrice della scuola d’arte Corelli. Questa perdita la fa sprofondare in una solitudine che acuisce il suo senso d’inadeguatezza, alimentato anche dai consolidati pregiudizi dei suoi genitori, che vorrebbero per lei il classico “posto sicuro” (inconsapevoli del fatto che il posto sicuro non esiste più da tempo).
Radio Wild, una radio locale che trasmette solo la musica rock che piace a Sonia, inaugura la rubrica Burnout Generation, che sembra misteriosamente rivolgersi proprio a lei, talmente identificata nel suo ruolo di millenial da temere di fare il grande salto verso un lavoro più stabile. Ma quella rubrica, se da una parte alimenta le sue ossessioni, dall’altra le suggerisce un percorso da seguire, che assomiglia tanto a un messaggio postumo di Telma. E ai suggerimenti di Mimoza, la sua life coach, sembrano corroborarlo.
In una trama che intreccia la sua vita personale e le sue relazioni – tra cui Federico, un ex fedifrago, Cece, un coinquilino bizzarro e gay, e Salvatore, un rivale non particolarmente accanito –, Sonia è costretta a confrontarsi con i propri sogni e il proprio futuro, facendo una scommessa che non è sicura essere alla sua portata.
Elisa Emiliani ci accompagna in un viaggio che alterna introspezione e situazioni tragicomiche, indagando con tono brillante e buon ritmo temi come la precarietà emotiva e professionale, la ricerca di autenticità e i tentativi apparente impossibili di realizzazione in un mondo troppo spesso alienante, almeno per i giovani adulti della sua generazione. Che non sono poi così diversi da quelli delle generazioni precedenti e successive.
Solo Radio Wild è un buon romanzo, generazionale ma non troppo, attuale e disinvolto, che mette il dito nella piaga senza che l’autrice senta il bisogno di mortificare e deprimere i lettori. E con un lieto fine così misurato da risultare più realistico di quanto sarebbe stato il suo contrario.