Claudia Farnedi – Odore di parole

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In questo libro Claudia Farnedi esordisce con un ringraziamento significativo a coloro che, girandosi dall’altra parte, mi hanno indicato altri sentieri. Ma non si tratta di un testo polemico: semmai di un percorso composito alla riscoperta di se stessi, nell’intrecciarsi continuo di presente e memoria. Un percorso tracciato con uno stile particolare, semplice e complesso allo stesso tempo, che arriva dritto al cuore: a quello del lettore ed a quello delle cose, delle persone. Perché l’autrice non ci parla di personaggi di sua invenzione, ma, appunto, di persone; un’esplorazione umana che compie nel continuo intersecarsi di testo e di immagine, di prosa e di poesia, di rievocazione e di proiezione in un futuro prossimo.

La storia è quella del rapporto di una figlia con una madre affetta da sindrome di Alzheimer, ed è scritta con un continuo altalenare tra lucidità e incertezza, tra ricordo e oblio; un alternarsi di voci e di silenzio, di intimità e di distanza. Ritagli di carta per dipingere un nuovo mondo. Ritagli di parole che odorano di buono. Ritagli di tempo dal sapore indimenticabile. Ritagli di silenzio per dare spazio alla memoria, come cita il risvolto di copertina.

Odore di parole non è libro da leggersi tutto d’un fiato, né con distrazione: è un testo sul quale soffermarsi, riflettere, tornare indietro; un tragitto da percorrere più volte ritrovando quella capacità di ascolto –di noi stessi prima ancora che degli altri- che ci permette di assorbire le altrui parole e trasformarle in esperienza personale. Nella sua brevità non concede fretta.

Potrebbe sembrare che certe riflessioni dell’autrice affondino nell’ovvietà: far comprendere i propri sentimenti agli altri è un esercizio buono. Non c’è bisogno di prendersela o di turbare qualcuno se qualcosa va storto, basterebbe comunicare all’altro cos’è accaduto. Senza colpe, senza rimproveri. Solo facendo capire cosa sentiamo dentro. Ma, si sa, ciò che più ci sembra banale meno è praticato nella quotidianità, e l’ovvio può rivelarsi antica e sempre rinnovata saggezza: non è mai scontato ciò che ancora non si è compreso.
In un’epoca in cui il dialogo è zittito dalle chiacchiere e da pregiudizi senza fondamento, fa bene ritrovare un linguaggio limpido, capace di sondare la complessità dell’esistenza senza trasformarla in una colta quanto delirante complicazione. E Claudia Farnedi si esprime con poetica accessibilità, rendendo così universali i suoi scritti, la cui chiave è resa esemplarmente da un breve passo: “il tempo scorre, le stagioni si alternano, gli anni si ripetono, le cose vanno in un ordine che corrisponde non solo alla natura e ai suoi cicli, ma ad un altro ordine che si svolge tra cielo e terra”; a contatto con la natura e con gli oggetti, vivendo in sé una poesia dell’esistente che chiunque può comprendere, se solo si sofferma ad ascoltare concedendosi qualche istante di silenzio.

Nelle sue pagine l’autrice si lascia prendere, a tratti, da uno sguardo quasi francescano verso il creato, recuperando quel punto di osservazione che, tra infanzia e adolescenza, ha colonizzato la nostra sensibilità. Sa infatti guardare alle cose come una continua scoperta, riaffermandone al contempo la solidità attraverso quei particolari, solo apparentemente insignificanti, che rendono densa la vita. La quale è resa, in queste pagine, con la devozione di chi sa che ha molto da insegnare e che il suo messaggio, anche nei momenti più difficili, non è necessariamente crudele, né ostico.

Nella narrazione sono presenti anche elementi fantastici nei quali il farsi realtà della fantasia sembra più reale di ciò che possiamo toccare con mano (la conversazione con l’antico gelso, lo specchio magico); ed una fiaba senza soluzione che ci mostra l’universo delle domande senza risposta: non perché non vi siano risposte, ma perché esistono risposte che solo l’anima sa ascoltare.

Un’opera intensa, profonda, che istiga la meditazione, accompagnata da immagini fotografiche, anticipatrici ogni volta delle pagine che stiamo per leggere, scattate dall’autrice stessa; in cui ci colgono all’improvviso immagini che ci appartengono –che appartengono a quella parte di noi che, a contatto con se stessa, sa ancora trovare spazio per l’amore e per la comprensione.

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022, insieme a Viviana E. Gabrini). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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