Andrew MacDonald – La seconda guerra civile americana. I diari di Turner

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Se esiste un esempio di narrativa ideologica che riesce a combinare banalità narrativa con una pericolosa e distorta propaganda, questo è proprio La seconda guerra civile americana di Andrew Macdonald, un pamphlet travestito da romanzo che tenta di vendere la sua velenosa ideologia razzista e suprematista con una trama che avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo persino a un lettore mediocre di fantascienza pulp.
Dal punto di vista narrativo, si presenta come un mix di fanatismo paranoico e pseudo-scienza apocalittica, in cui una presunta “resistenza” bianca cerca di rovesciare il governo americano, dipinto come un regime totalitario oppressivo che ha concesso troppi diritti a minoranze ed ebrei. Ah sì, il classico complotto giudaico-massonico che ha ossessionato l’immaginario malato dei teorici del complotto per decenni e, a giudicare da certe pagine social, ancora oggi.

La banalità della premessa è talmente esasperante da far sembrare la trama un pretesto, neanche troppo sottile, per incitare all’odio, con capitoli che si trascinano tra dialoghi rigidi e ridondanti, talmente intrisi di retorica reazionaria da risultare rivoltanti a chiunque abbia un pizzico di cervello. A livello ideologico, ci troviamo di fronte a un’opera che, mascherandosi da romanzo fantascientifico, si pone l’obiettivo di legittimare il pensiero suprematista bianco, incitando apertamente alla violenza contro chiunque non rientri nel ridicolo ideale di purezza etnica propugnato dal protagonista. È un manifesto d’odio travestito da distopia, che tenta di sfruttare le paure della società moderna per giustificare la guerra civile, il genocidio e la persecuzione di massa.

Andrew Macdonald (pseudonimo di William Luther Pierce, attivista di ispirazione nazifascista noto per le sue posizioni razziste, antisemite e suprematiste, fondatore dell’organizzazione neonazista National Alliance non solo fallisce nel creare personaggi credibili, ma sembra anche incapace di sviluppare un’ambientazione o una trama che non collassino sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Il risultato è un pasticcio narrativo che insulta il buon senso, incapace persino di elevare la sua propaganda a un livello narrativo vagamente intrigante. Il protagonista, Earl Turner, è una caricatura dell’uomo “giusto” che combatte contro il mondo corrotto, una figura talmente bidimensionale che, se non fosse per il fanatismo di fondo, farebbe quasi ridere.
Anche l’aspetto stilistico è altrettanto misero. Le descrizioni sono meccaniche e aride, la costruzione della tensione è praticamente inesistente, le riflessioni politiche sono talmente faziose da sembrare uscite da un manuale del perfetto estremista, non da una mente capace di analisi critica. È difficile capire se Pierce volesse davvero scrivere un romanzo, o se il suo unico obiettivo fosse scatenare polemiche e diffondere il suo messaggio di odio sotto le spoglie della narrativa.

La seconda guerra civile americana non è solo un insulto alla letteratura, ma anche al pensiero critico. Dovrebbe essere trattato come ciò che è: non un’opera di finzione distopica, ma una pericolosa e malriuscita incitazione alla violenza, che gioca con paure infondate e cerca di giustificare l’indifendibile.
Se c’è un merito in questo libro, è quello di essere un monito su come l’ignoranza e l’odio, quando vengono messi su carta, possono rivelarsi terribilmente noiosi.


Nell’introduzione, Giorgio Galli mette in evidenza il carattere distopico e pericoloso del testo. Spiega che “I diari di Turner” non è semplicemente un’opera di finzione, ma un manifesto ideologico che ha ispirato diversi gruppi estremisti. Galli avverte il lettore della sua influenza, in particolare su persone che hanno commesso atti violenti, come l’attentatore di Oklahoma City, Timothy McVeigh. In sostanza, invita a considerare il libro non solo come un racconto di fantapolitica, ma come un’espressione del malessere e delle pulsioni estremiste che attraversano certi ambienti politici, sottolineando i rischi di prendere alla leggera le sue idee radicali.

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Heiko H. Caimi, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.

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