Ci sono romanzi di Agatha Christie che ti trascinano in un vortice di enigmi, altri che ti avvolgono in un’atmosfera sottile e velenosa, e poi ci sono quelli che, come Sfida a Poirot (The Clocks, 1963), giocano con il tempo e con la percezione stessa della realtà. È un giallo che si muove su più piani, quasi come se la regina del crimine volesse farci riflettere su cosa significhi davvero “vedere” un mistero.
Tutto inizia con un’infermiera, Sheila Webb, che viene mandata a casa di una signora cieca, la signora Pebmarsh, per leggere ad alta voce. Ma la situazione che trova è decisamente fuori dall’ordinario: un cadavere sul tappeto, circondato da una serie di orologi che segnano tutti la stessa ora: le 4:13. Un dettaglio surreale, quasi teatrale, che fin da subito ci dice che siamo davanti a un gioco mentale più complesso del solito.
La polizia prende in mano il caso con l’ispettore Hardcastle, ma p presente anche Colin Lamb, un agente segreto coinvolto in un’indagine parallela di spionaggio. Questo elemento di doppio mistero, tra il classico omicidio in una stanza chiusa e il gioco più ampio della guerra fredda, è qualcosa di piuttosto inusuale per Agatha Christie, che qui sfiora il thriller politico.
E Poirot? Beh, lui arriva tardi, comodamente seduto nella sua poltrona, e sembra quasi divertirsi a risolvere il mistero senza neanche sporcarsi le scarpe. È l’Hercule Poirot della maturità, quello che, più che indagare sul campo, ama mettere insieme i pezzi nella sua mente impeccabile, dimostrando ancora una volta che tutto si riduce alla logica e alla psicologia. E alla fine, naturalmente, non sbaglia.
Uno degli aspetti più affascinanti del romanzo è l’uso degli orologi. Sono solo una messinscena? Un trucco per depistare? Oppure nascondono un significato più profondo? La Christie si diverte a giocarci, facendo rimbalzare la nostra attenzione da un’interpretazione all’altra, proprio come fa con i vari testimoni, tutti apparentemente attendibili eppure tutti con un piccolo segreto da nascondere.
C’è anche un sottile gioco con la percezione del tempo: il delitto sembra collocarsi in un momento preciso, ma le testimonianze si contraddicono, creando una strana dissonanza. L’indizio è lì, sotto gli occhi di tutti, eppure sfugge fino alla fine, quando Poirot, con la sua consueta teatralità, svela il trucco con un colpo di scena tanto elegante quanto inevitabile.
Sfida a Poirot non è il classico whodunit chiuso in un maniero, né un mistero dalle atmosfere gotiche. È un giallo più moderno, più raffinato, che richiede un lettore attento ai dettagli, ai piccoli scarti narrativi, ai giochi di prestigio che la Christie dissemina con maestria. Non è forse tra i suoi romanzi più rappresentativi, ma ha qualcosa di ipnotico, un ritmo calcolato al millimetro e una struttura che sembra voler mettere alla prova non solo gli investigatori della storia, ma anche chi legge.