The man in the high castle: qualunque sia il prezzo

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The man in the high castle (L’uomo nell’alto castello) è, prima che una serie tv del 2015 creata da Frank Spotnitz e andata in onda per Amazon Video, un romanzo di Philip Dick uscito nel 1963.
Questo articolo riguarda la serie televisiva, che può essere a mio avviso considerata come una sorta di fan-fiction del romanzo: avvincente, emozionante, moderna. Infedele fino al midollo.

L’ambientazione è ciò che più rispecchia il capolavoro di Dick: i nazisti hanno vinto la guerra e si sono spartiti gli Stati Uniti d’America con gli alleati giapponesi. Le immagini della sigla di apertura mostrano una bandiera americana con la svastica nazista al posto delle stelle.

  • I ‘Japanese Pacific States’ hanno rimpiazzato gli stati dell’ovest; il ‘Greater Nazi Reich’ gli stati dell’est e la ‘Neutral Zone’, ancora libera, è schiacciata nel mezzo.
  • Hitler sta morendo e si prevede che i suoi potenziali successori (Goebbels, Göring) non saranno altrettanto favorevoli alla spartizione degli Stati Uniti con gli alleati giapponesi.

Visivamente l’ambientazione è scura, sporca, molto Dickiana. Trasmette il senso di claustrofobia e paranoia tipici dell’autore di fantascienza, il terrore del potere costituito che invade la libertà individuale, la forza di un’autorità impazzita che schiaccia la popolazione e distrugge sistematicamente il dissenso, le idee, il substrato fertile di condivisione delle opinioni.

Entro questa cornice, ciò che più mi ha colpito del romanzo è questo: i giapponesi sviluppano un commercio maniacale di antichità americane, per la maggior parte false. In mezzo al falso pacchiano Frank inizia a creare arte nuova, nella forma di gioielli (nella serie questa diventa una semplice caratterizzazione del personaggio di Frank, piuttosto secondaria).
Questo è tipico di Dick: la soluzione all’angoscia, l’uscita dal vortice di paranoia risiede nella speranza della bellezza, nella dolcezza ingenua di un abbraccio tra estranei, nella gioia semplice del lavoro fatto con le mani. Piccolo, quasi insignificante, ma autentico. Allora si apre una crepa nel terrore e da lì inizia a filtrare luce.

Questa eleganza si perde nella serie televisiva che la sostituisce con una trama avvincente (e più vendibile).

Dall’Ovest Nazista: Blake chiede al capo della resistenza di collaborare, lo convince di non essere una spia nazista. Appena ricevuto l’incarico di portare un camion che contiene un carico illegale nella Zona Neutrale la sede della resistenza viene attaccata, quasi tutti vengono catturati o uccisi ma Blake riesce a scappare col camion e si dirige alla Zona Neutrale.

Dall’Est Giapponese: Juliana e Frank convivono sotto l’occupazione giapponese. Lei ama la cultura orientale e le arti marziali, lui nasconde le sue origini ebraiche rifiutando qualunque coinvolgimento in politica. Trudy, sorella di Juliana, in contatto con la resistenza, le lascia una pellicola da portare nella Zona Neutrale e viene uccisa dai servizi segreti. Nel video viene mostrato un mondo parallelo, in cui nazisti e giapponesi hanno perso la guerra.

Blake e Juliana si incontrano nella Zona Neutrale, entrambi cercando un contatto della resistenza, ignorando i rispettivi ruoli.

Frank viene sequestrato dai servizi segreti giapponesi, a conoscenza delle sue origini, per rintracciare Juliana e il video della resistenza.
E’ in una cella d’isolamento che Frank, tramite una fessura nel muro, conosce Randall, il membro della resistenza che aveva passato la pellicola a Trudy (sorella di Juliana). Nelle loro conversazioni risiede a mio avviso  il punto focale del rapporto tra individuo e sistema (in questo caso un sistema autocratico repressivo di stampo nazista) che apre una prospettiva di resistenza radicata nell’intimità delle scelte e nella possibilità della perdita.

Randall: Frank. Frank! Ti chiami così? Da questa parte. Va tutto bene, sono tuo amico. So della pellicola di Trudy Walker.
Frank: Allora di sicuro non sei mio amico. Devi dir loro che non ho nulla a che fare con tutto questo.
Randall: Ti salverei, se potessi. Ma non posso.
Frank: Chi diavolo sei?
Randall: Sono un uomo, proprio come te. Un uomo che vuole la libertà…
Frank: Risparmiami quelle cazzate della propaganda, ok? Intendevo il tuo nome.
Randall: Randall.
Frank: Oh, Randall? Non voglio la libertà di cui parli, non voglio niente.
Randall: Ci vuole un bello sforzo. Per non essere libero. Tieni la testa bassa. Non parlare troppo.
Frank: Non ho problemi a tenere la testa bassa. Tengo la bocca chiusa. Tutto pur di sopravvivere.
Randall: Questa cosa valeva più della tua vita, e lo sai. Sai dov’è andata la sorella di Trudy. Vero?
Frank: Tu cosa ne sai?
Randall: Oh, la domanda è cosa ne sai tu. Sì, sai dov’è andata. Perché non glielo riferisci?
Frank: Mi ucciderebbero comunque.
Randall: Forse. Diglielo. E vediamo cosa succederà. Se credi che rispetteranno la parola data.[1]

A questo punto della sua detenzione Frank non rivela dove si trivi Juliana, sacrificando se stesso al posto di lei, non per un ideale di libertà ma per amore, pensando inoltre che lo ucciderebbero comunque. Una scelta coraggiosa ma relativamente semplice da comprendere, in molti possono mettersi nei suoi panni.
Frank non cede alle pressioni dei giapponesi ma resta scettico nei confronti della resistenza e delle sue possibilità di successo. I suoi motivi sono privati e influenzano il sistema mettendogli i bastoni tra le ruote in modo accidentale.

Randall: Cazzo! Che stai facendo? Frank! Se anche riuscissi a rompere le catene, come pensi di uscire da qui?
Frank: Ne è valsa la pena? Tutto questo per potervi passare l’un altro quella stupida pellicola?
Randall: Quella pellicola può cambiare il mondo.
Frank: Già, di certo ha cambiato il mio.
Randall: Secondo te, perché ci torturano?
Frank: Ho come la sensazione che stia per dirmelo.
Randall: Perché sanno molto bene che quella pellicola non mostra il mondo per com’è… ma per come potrebbe essere.
Frank: Ok. Beh, in questo mondo… han lanciato una atomica su Washington. E voialtri pensate che una pellicola li fermi?
Randall: Quindi siamo “voialtri”?
Frank: Esatto, voialtri. Voi, gli illusi della resistenza. Tra l’altro, quanti siete? Quanti? Sette, dieci, dodici? Credete davvero che riuscirete a sconfiggere i Giapponesi… e i Nazisti?
Randall: Certo.
Frank: Beh, da qui non sembra proprio così![2]

A questo punto della sua prigionia succede qualcosa che cambia le carte in tavola. Come i giapponesi sono a conoscenza del fatto che Frank è ebreo, allo stesso modo sanno che sua sorella è ebrea, così come i suoi figli.
La scelta di Frank cambia radicalmente: non si tratta di dare la vita per la donna che ama. Adesso si trova nella posizione di dover sacrificare sua sorella e i bambini per salvare Juliana, ma questo sarebbe moralmente inaccettabile. E’ in questo momento che la parole di Randall e l’ideale di ribellione acquistano peso e s’impongono sull’equilibrio precario della personale, individuale, tragica resistenza di Frank.

Randall: E’ una scelta difficile, Frank. In entrambi i casi qualcuno che ami morirà.
Frank: O forse moriranno tutti.
Randall: Sono spaventati. Hanno paura che la pellicola possa far crollare tutto. Non importa in cosa credi. Non importa. Importa tanto quanto che tu creda o meno di essere ebreo. Non ti biasimerò se ti arrendi. E’ quello che farebbero tutti, se aiutasse a salvare vite innocenti. Ma la tortura, le bugie, il ricatto. E’ così che mantengono il potere.
Frank: Qualunque cosa io faccia, i Giapponesi mantengono il potere.
Randall: Ti sbagli. Ti sbagli. Tutto questo finirà solo quando quelli come noi si rifiuteranno di obbedire, qualunque sia il prezzo. E’ l’unico modo per sconfiggere questi bastardi. E’ l’unico modo per salvare la tua anima. Vuoi salvare la tua anima, Frank? Non fargli avere la tua anima.[3]

Qui risiede, a mio avviso, la sfida più interessante posta da questa serie. Una sfida che Frank accetta e di cui paga il prezzo. Una scelta del genere, però, non è facile da comprendere, non a livello intimo. Nei panni di Frank, personalmente, non so cosa avrei fatto. Credo che sia impossibile prevedere il proprio comportamento in una situazione del genere e credo che la razionalità, il logico lavorio frenetico della mente che cerca di considerare possibilità e conseguenze (vale la pena che i bambini, ebrei, crescano in un regime nazista? E’ assolutamente certo che li uccideranno?), non sia determinante.

Eppure può essere utile, forse indispensabile, fare uno sforzo d’immaginazione e provare a porre la propria individualità in un sistema totalitario e domandarsi: da che parte starei? Cosa sarei disposto a sacrificare? Ma anche: che cosa giudico inaccettabile? Quante sofferenze posso veder imposte ad altri esseri umani prima che la mia coscienza venga scossa? Quante ingiustizie posso tollerare per mantenere il mio stile di vita, il mio amore, la vita dei miei cari?Non sto cercando di formulare giudizi di merito, credo che quasi ogni risposta sia per lo meno giustificabile, il mio punto è: una risposta è meglio che ci sia.

NOTE
[1]     The man in the high castle, Stagione 1, Episodio 2
[2]     The man in the high castle, Stagione 1, Episodio 2
[3]     The man in the high castle, Stagione 1, Episodio 2

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Elisa Emiliani, faentina, millennial, laureata in filosofia, ha vissuto a Torino, a Bristol (UK) e in Galizia (Spagna), poi è tornata in Italia e ha frequentato la Bottega di Narrazione. Ha scritto racconti e articoli per Fantasy magazine, Speechless magazine, Inkroci, Delos, Axolotl, Prospero, Moscabianca. Nel 2019 è uscito “Cenere”, romanzo distopico, per Zona42 (finalista al premio Italia). Le sue storie virano dalla fantascienza al new weird e toccano il mainstream, instillando il dubbio in una vita quasi normale.