Qualcuno volò sul nido del cuculo

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Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) è uno dei tre soli film della storia della cinematografia ad aver vinto tutte le principali cinque categorie agli Oscar, a partire dalla Miglior Regia a Miloš Forman per proseguire con Miglior Film a Michael Douglas e Saul Zaentz, e Miglior Sceneggiatura non Originale a Lawrence Hauben e Bo Goldman, oltre a Miglior attore e Miglior attrice protagonista rispettivamente a Jack Nicolson e Louise Fletcher.

Tratto dall’omonimo (nonché primo) romanzo di Ken Kesey, pubblicato nel 1962, denuncia una delle situazioni più dure della società umana: la sopravvivenza dentro ai manicomi. Lo scrittore decise di parlare del delicato argomento dopo una breve esperienza come volontario in un ospedale della California. Come ci suggerisce il romanzo stesso, la storia, drammatica, tratta di un reparto psichiatrico nel quale convivono cronici inguaribili che non hanno retto allo scontro con il sistema, o la cui diversità non è stata assimilata dalle ferree leggi conformistiche del sistema, e che perciò si sono estromessi o sono stati esclusi e segregati tra le pareti impietose di una corsia, diretta con il pugno di ferro e con la sottile crudeltà di Miss Ratched, la ‘Grande Infermiera’.

Il “nido del cuculo” è un’espressione gergale tipicamente statunitense per definire un manicomio. Il cuculo è un uccello che non costruisce nidi, depositando le proprie uova in quelli di altri, e nel film questa metafora viene pienamente riproposta: il ‘nido’ è rappresentato dalla struttura ospedaliera, mentre le ‘uova’ sono i malati che sono stati accuratamente depositati al suo interno.

Jack Nicholson, nei panni del protagonista McMurphy, è uno scapestrato che entra nel manicomio per evitare il carcere, accorgendosi in seguito di esserne divenuto prigioniero in egual modo. Vince con questo film il suo primo premio Oscar, merito di un’interpretazione a dir poco sensazionale. Assieme a lui è necessario citare Louise Fletcher nei panni dell’infermiera Ratched, ma anche altri attori come Brad Dourif (Billy Bibit, un sensibile giovanotto sfuggito a un tentato suicidio) e Will Sampson (Bromden, un pellerossa che si finge sordomuto e che nel libro svolge il ruolo di narratore principale). Ad essere onesti però, nessuno in questo cast andrebbe lasciato in disparte: la recitazione di ogni singolo attore appare impeccabile.

Le inquadrature sono caratterizzate da numerosi primi e primissimi piani, per rendere giustizia alla mimica facciale e alla recitazione psicologica, estremamente dettagliata, che colpisce in modo diretto e senza fronzoli lo spettatore, talvolta quasi intimidendolo. È una recitazione senza filtri, grazie alla quale i personaggi danno l’idea di non essere mai stati realmente pazzi, ma di essere forse impazziti lentamente proprio grazie all’influenza di quell’ambiente.

La musica è una componente fondamentale nel cinema di Forman. Se in questa pellicola la percepiamo quasi come un’attrice discreta ma estremamente talentuosa, in uno dei suoi lavori successivi, Amadeus, (dedicato interamente alla vita di W.A. Mozart), ci renderemo conto di quale connubio d’amore ci sia fra essai e il regista. La colonna sonora di Jack Nitzsche non vince un Oscar, ma viene comunque candidata: in ogni momento di spensieratezza, di tranquillità, di normalità condivisa in un ambiente di matti, emerge quasi come una resurrezione, dapprima lieve e poi più forte, accompagnando con leggerezza la quotidianità dei malati, le partite a carte, le loro abitudini, il loro bisogno di amore e di serenità, a differenza dei momenti di inquietudine e disagio, caratterizzati da assordante silenzio o strilli indomabili.

L’ambiente rimane invariato per tutto il film, tranne una piccola scena girata in mezzo alla natura, al mare, creata quale contrapposizione alla luce fredda e bianca dell’ospedale, per dare un momento di distacco dalle scene negli interni che si susseguono come una routine, anche se non diventano mai realmente monotone.

Il film lancia numerosi messaggi, e sono diverse le interpretazioni che possiamo cogliere all’interno delle sue scene, tante quante sono i temi che vengono trattati: il suicidio, i diritti fondamentali di un individuo, le discriminazioni, il controllo psicologico sono i più evidenti. Il personaggio di McMurphy dimostra senza dubbio un fortissimo senso di sopravvivenza positiva all’interno di una situazione drammatica, e soprattutto la consapevolezza della sua sanità mentale, da lui mai messa in dubbio: come a sottolineare che i veri pazzi sono coloro che abusano del proprio potere fisico e mentale su soggetti più sensibili, non chi invece pensa di esserlo. Per questo ciò che tende a fare è trattare gli altri pazienti come semplici esseri umani, assolutamente normali e capaci di intendere, di divertirsi, di capire, pur essendo consapevole delle loro fragilità.

Lo scontro con la Grande Infermiera diventa dunque inevitabile, tanto che alcuni hanno identificato i due personaggi come le due facce di una stessa medaglia: da una parte le autorità, dall’altra le contestazioni e l’anticonformismo. Le espressioni dure, la sicurezza e la disinvoltura nell’affrontare ogni situazione, il controllo psicologico esercitato sui personaggi (talvolta presenti nella struttura come volontari), il timore, la paura, le insicurezze create in loro: questo è ciò che caratterizza Miss Ratched. Dall’altra parte fa da contraltare il linguaggio privo di filtri, rilassato e amichevole di McMurphy.

Malgrado sia un film drammatico dal fortissimo impatto psicologico, Qualcuno volò sul nido del cuculo non è solo un capolavoro a livello cinematografico (sono ventotto i premi vinti in totale, e oggi è situato al trentesimo posto nella classifica dei miglior film statunitensi di tutti i tempi) ma anche a livello umano: è in grado di formare lo spettatore, con leggerezza e ottimismo, su una tematica devastante, permettendogli di tanto in tanto di emozionarsi e vivendo inaspettati momenti di gioia e di spensieratezza.

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