Eiji Yoshikawa – Musashi

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Non che Musashi avesse dimenticato la lezione impartitagli da Takuan: il vero valoroso è colui che ama la vita, e la protegge come un tesoro che, una volta perduto, non si recupera più. Sapeva bene però che vivere non vuol dire meramente sopravvivere. Il punto era come infondere  la propria vita di significato, come assicurarsi che questa vita avrebbe portato un raggio di luce verso il futuro, anche se per fare questo sarebbe stato necessario sacrificare la propria esistenza. Se fosse riuscito in questo, la durata della sua vita, vent’anni o settanta, avrebbe fatto poca differenza. La durata d’una singola vita è un insignificante intervallo nell’infinito fluire del tempo.

Secondo il suo modo di vedere le cose, c’era un modo di vivere per la gente comune, e un altro per i guerrieri. Per lui era di somma importanza vivere da samurai e morire come tale. Non c’era possibilità di tornare indietro  dalla strada che aveva scelto per sé. Anche se fosse fatto a pezzi dal nemico, niente e nessuno avrebbe mai potuto negare il fatto che aveva affrontato onestamente e senza paura la sfida.

In questa splendida traduzione integrale di un classico internazionale (precedentemente pubblicato in Italia da Rizzoli privo delle parti spirituali, filosofiche e di approfondimento), è possibile vivere fianco a fianco insieme a colui che è considerato tra i maggiori e migliori guerrieri di tutti i tempi, intraprendere La Via della Spada insieme a lui e scoprire il nostro autentico sé.

Il libro narra la storia del samurai Miyamoto Musashi (1584–1645), il più grande guerriero giapponese mai esistito, cominciando dalla sua prima battaglia – ovvero la battaglia di Sekigahara del 1600 – fino al duello che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Il giovane fante Takezo, nome di battesimo di Musashi, partecipa  insieme al suo migliore amico Matahachi alla famosa battaglia e dopo la sconfitta comincia un cammino solitario per intraprendere La Via della Spada, che lo porterà non solo ad affinare il suo talento combattivo ma soprattutto a una comprensione profonda di sé: all’illuminazione. Come descrive l’editore: “Quando Musashi incomincia il suo viaggio è concentrato solo sulla ricerca della tecnica perfetta: per questo affronta in combattimento molti avversari sconfiggendoli uno dopo l’altro. Mano a mano che procede nel suo percorso e affina la tecnica, si stacca dalla assurda ricerca perfetta di quest’ultima e intraprende una via che si apre allo spirito”.

Ci sono quelli che muoiono restando vivi e altri invece che, morendo, conquistano la vita.

In alcuni punti del romanzo che descrivono la situazione politica e sociale del tempo possiamo notare delle somiglianze – più o meno sottili – col periodo che stiamo attraversando, fatto di confusione, incertezza, inganni mascherati da verità e prigionia mascherata da benessere.

La gente di città andava rapidamente scordando i giorni ameni del regime di Hideyoshi e si chiedeva quanto avrebbe guadagnato nei giorni a venire. Poco importava chi fosse al potere, finché fosse riuscita a soddisfare i propri meschini appetiti, nessuno s sarebbe lamentato. Ieyasu non aveva deluso le aspettative della gente comune, cui elargiva denaro a piene mani, come si distribuiscono dolciumi ai bambini. Non denaro suo, s’intende, ma quello di potenziali nemici.

Anche nell’agricoltura egli stava istituendo un nuovo sistema di controllo. Non era più consentito ai magnati locali di governare a loro piacimento e reclutare i contadini per lavorare la terra altrove. D’ora in poi, i braccianti dovevano solo lavorare la loro terra; dovevano essere tenuti nell’ignoranza della  politica e dovevano fare affidamento sui poteri costituiti.

Il sovrano virtuoso, secondo il pensiero di Ieyasu, era colui che non lasciava morir di fame gli agricoltori ma, al contempo, faceva sì che non si potessero elevare al di sopra del loro stato. Questa era la politica mediante la quale egli intendeva perpetuare l’egemonia dei Tokugawa. Né la gente di città né quella di campagna, e neppure i daimyō, si rendevano conto di venir inseriti con cura entro un sistema feudale che avrebbe finito per legar loro mani e piedi. Nessuno si dava pensiero di quello che sarebbe avvenuto di lì a cent’anni. Nessuno, tranne Ieyasu. 

Non spaventi l’estensione del libro, in quanto l’ottima traduzione e la sapienza con cui l’autore ha saputo narrare questa storia lo rendono un libro scorrevolissimo e coinvolgente, un vero e proprio “page-turner” di quelli che si vorrebbe non finissero mai e che lasciano il segno. Uno di quei libri che possono cambiare la vita, se interiorizzato.

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