La sconfitta apre un potenziale immenso: intervista a Francesca Marzia Esposito

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È un pugno nello stomaco la lettura di questo libro: una frase che non si addice al secondo romanzo di Francesca Marzia Esposito e che non userei in assoluto per descrivere qualsiasi forma di arte. L’autrice maneggia le parole con disinvoltura, apparente disinvoltura. C’è uno scarto tra ciò che si mostra e il lavoro in atto dietro al risultato, come capita alle protagoniste di Corpi di Ballo (Mondadori, 2019). La non fatica, la scorrevolezza è ciò che torna al lettore e gli rende sfogliare le pagine un piacere pur di fronte a temi non proprio leggeri. Non è forse ciò che accade quando osserviamo un attore sul palcoscenico? Un cantante? Tutto pare semplice e più il gesto, il suono ci arrivano puliti, precisi, più la tensione di chi li produce richiede enorme sacrificio e autocontrollo. Dietro la levità sta tanto lavoro. In Corpi di ballo è in scena la storia di due giovani ballerine, due dee alle prese con le prove per un nuovo balletto, Ondine. Nulla oltre la danza ha importanza per Miriam e Anita, nulla se non i corpi, strumenti da plasmare per raggiungere obiettivi e gloria: «La creazione ha a che fare con la distruzione». Nel romanzo della Esposito oscilliamo tra evanescenza e cruda sostanza. Tra la dimensione estraniante e privata della danza e i sentimenti umanissimi di invidia e seduzione, competizione e costruzione di se stessi, tra sparizione dei corpi e corpi che rivendicano la propria esistenza attraverso crampi allo stomaco, brividi di freddo. Ondeggiamo tra l’essere e il non essere, tra esseri in potenza ed esseri soggetti alla meccanica del corpo interiore ed esteriore. La lettura di Corpi di ballo è digestione emotiva della fatica, del dolore, della vita vissuta dietro le quinte.

  1. Cos’è la rinuncia e quanto costa sacrificare una parte di sé per un obiettivo?

La passione – e uso il termine passione per identificare una condizione emozionale psicofisica persistente – è selettiva, non accusa sacrificio, opera una scelta spontanea quanto irragionevole. Un abbandono volontario, in nome di una priorità, non ha un grosso peso, anzi, vanifica la sua carica drammatica. Avere una meta vuol dire mettere a fuoco una ragione d’essere e conseguentemente sfocare il resto. Fa sentire immensamente vivi, dà grande slancio. La percezione della rinuncia come sottrazione presuppone invece uno sguardo distaccato, una visione ragionieristica; vuol dire mettersi a fare i conti delle entrate e uscite che il percorso concede, è un bilancio che non appartiene a chi, per esempio, è sostenuto da una volontà artistica.

  1. La tua scrittura è un corpo leggero, la sensazione è quella di un intenso allenamento. Quali affinità ci sono tra la Esposito ballerina e la Esposito scrittrice?

Non sono più una ballerina, ora la danza la insegno. È una modalità molto diversa, impartire lezioni vuol dire accorciare la distanza tra sapere e allievo, mentre danzare a livello professionale crea distacco, sottolinea lo scarto tra eccezione e regola. Detto questo, la mia scrittura è indissolubilmente legata al modo che ho di stare al mondo, che conseguentemente è stato forgiato in gran parte dalla danza. Sforzo, dedizione, ripetizione, costanza, ritmo sono il mio approccio primario al tentativo di riuscita.

  1. “Voglio scrivere perché voglio eccellere in uno dei mezzi di interpretazione della vita”, scriveva Sylvia Plath. FME perché scrive? Se un motivo esiste.

Collegandomi alla domanda precedente, quando ho smesso di danzare mi sono ritrovata con una materia incandescente e magmatica che necessitava di nuova forma. Così, dalla scrittura attraverso il corpo, sono passata al corpo della scrittura. È stato un passaggio fisiologico, non giustificato da una motivazione spendibile alla luce del sole. La scrittura crea in me un sinistro accordo, articola la parte intaccata dallo stare al mondo con un’indole che rimane incontaminata e intatta.

  1. Cos’è, secondo te, che i primi della classe non riescono a vedere?

La sconfitta apre un potenziale immenso, spinge a ridefinire i confini, le intenzioni, porta a ricalibrare involucro e sostanza di noi stessi. Arrivare secondi, come lascio intendere in Corpi di ballo, è un’occasione forzosa di cambiamento, di rivolta e riappropriazione di sé. Ma ne faremmo tutti volentieri a meno, sarebbe più placida una bella involuta vittoria game over.

5. Un poeta o una poesia che bisognerebbe leggere.

Sanguineti. Ti lascio qualche verso da Novissimum Testamentum:

pubblicamente dichiaro e certifico
che per sempre rinuncio all’universo:
testimoniate per me, per un’ora,
e per un’ora, con me, vigilate:
se oggi chiudo e sbaracco e mollo e stacco,
getto la spugna e faccio il punto e a capo,
sarà perché tengo ragioni buone,
che tutte non le vengo a raccontare


Francesca Marzia Esposito vive a Milano. Si è laureata al Dams di Bologna, ha conseguito un master in Scrittura per il Cinema all’Università Cattolica di Milano.
Ha esordito con “La forma minima della felicità”, edito da Baldini&Castoldi, 2015. “Corpi di ballo” è il suo secondo romanzo, edito da Mondadori, 2019.

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