Seumas O’Kelly – Il pagliaccio Billy

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Un giorno avvenne che la Barca Dorata fu trasformata temporaneamente in una barca da lavoro. Il Capo, Hike, Calcutta e l’uomo butterato vennero sostituiti nel prestare servizio da un altro equipaggio. Arrivarono a bordo un falegname e i suoi assistenti, tra i quali il Pagliaccio Billy. C’erano grandi casse di strumenti, scale, corde, e materiali da costruzione accatastati sul ponte. Quando il Capo vide la sua buona nave scivolare via con i nuovi occupanti, andò verso il paese con un sospiro, tirando dritto verso un negozio, dove acquistò una scatola di pillole anti-biliari. Le nascose in una tasca del panciotto «contro il tempo in cui grandi venti impetuosi avrebbero attraversato i confini del suo stomaco».
Il nuovo equipaggio si avvicinò alla Barca Dorata accanto a una chiusa, dove li attendeva il lavoro.
Billy diede un tocco al suo cappello, ed esso si pose con impertinenza su un lato della testa. Ammiccò un occhiolino malizioso. Poi sorrise con le labbra flessibili I suoi piedi mossero qualche passo ridicolo sul ponte e suggerirono una danza briosa. Cantò un brano di una canzone sull’aria di un valzer. La sua voce aveva una certa qualità metallica. Era acuta, e mentre cantava ondeggiava inconsciamente con il corpo, perché era abituato a essere gentile con tutte le parti della casa. Si fermò istintivamente alla fine del verso per lasciare che una band immaginaria entrasse in poche rapide, attraenti battute. Teneva le mani nelle tasche dei calzoni. Facevano sforzi vani per espandere le proporzioni dei pantaloni. Al termine del verso catturò il cappello e lo lanciò in aria con un colpo esperto. Quello roteò in su e atterrò perfettamente sulla sua testa. Mandò baci con le mani a destra e a sinistra, e fece alcune comiche contorsioni col corpo. Poi alzò lo sguardo, perché la Barca Dorata era entrata nella chiusa.
Billy vide il Terrore per la prima volta. Stava appollaiato sul cancello della chiusa, slanciato contro il cielo come la figura di un giovane dio. Teneva gli occhi su Billy. Aveva un morbido cappello rotondo tirato giù sulla testa. Sul volto, sotto l’ombra del cappello, aveva un sorriso sfuggente come quello della Gioconda. Teneva fra le mani con noncuranza un bastone da Hurley. Le gambe leggermente storte nei pantaloni al ginocchio, gli stinchi scarni. Una carnagione piuttosto chiara illuminava un volto mite, tondo. Billy notò la lucentezza di un filo di capelli chiari che appariva sopra un orecchio. Poi venne il guardiano ad aprire le porte della chiusa, e il Terrore scomparve.
La sera successiva, quando finì la giornata di lavoro, Billy venne sul ponte. Il Terrore era in piedi sulla riva a guardare la barca. Billy gli sorrise, e i sorrisi di Billy erano, per forza di abitudine professionale, stravaganti.
«Vieni qui, figliolo, così posso parlarti», disse infine Billy.
Il Terrore camminò su due tavole fino alla barca con un sorriso lusingato. Rimase a guardare Billy come se fosse stato portato faccia a faccia a vedere uno dei grandi uomini della terra, con il privilegio di stargli vicino. Billy tese la mano.
Il capo del Terrore si abbassò. Come se l’onore fosse di più che un diritto da aspettarsi. La sua mano si allungò come in tono di scusa e se la strinsero.
Poi Billy si sedette su una cassa. Era in uno stato d’animo socievole. Come lo fece, il Terrore, i cui occhi erano affamati di dettagli, osservò che Billy spostava un pezzo di tabacco da una guancia all’altra. Poco dopo sputò, e il Terrore ricevette una zaffata di odore di erba. Notò anche che Billy indossava degli orecchini. Il suo viso era coriaceo. Su una guancia brillava una cicatrice. Aveva dei peli sulle mani. Una cintura intorno alla vita sembrava essere l’unico elemento responsabile di tenere insieme il suo guardaroba. Era allacciata in modo così lento da richiedere di tanto in tanto degli strattoni, altrimenti si sarebbero potute verificare delle calamità.
Un corpo allungato, muscoloso, ogni nervo del quale sembrava vitale, suggeriva una continua impazienza attraverso piccoli spostamenti e movimenti. Quando sorrideva con i suoi sorrisi esagerati mostrava una fila di denti forti con due prominenti vuoti davanti. Un paio di occhi grigi brillanti, persino audaci, danzavano nella sua testa, conferendogli un insieme di selvaggio e di umoristico. Il cuore del Terrore era eccitato alla vista di Billy.
«Come ti chiamano a casa?» chiese Billy, guardando il Terrore attraverso una fessura dei suoi occhi.
«Mi chiamano il Terrore», replicò l’altro senza alcuna emozione.
«Perché ti chiamano così?».
«Perché oh, non so, comunque mi chiamano così. Mi chiamano così perché faccio cose».
«Oh, fai cose?».
«Sì».
«Che genere di cose?».
«Il genere di cose che non dovrei fare, cose che mi viene detto di non fare, cose che non ho il diritto di fare».
«Ah, ecco». La mascella di Billy lavorava incessantemente, i suoi movimenti erano molto evidenti attraverso la pelle luminosa estremamente tesa sulla cicatrice. Squadrava il Terrore in su e in giù.
«Quanti anni hai?» chiese Billy.
«Vado per gli undici». rispose il Terrore guardando in su. Billy era consapevole che nonostante l’esteriorità discreta non c’era paura e c’era pochissima timidezza nel Terrore.
Per un po’ parlarono di banalità; Billy fece domande sulla scuola e sui libri, sui nomi delle persone nelle vicinanze, sulle caratteristiche della zona e il Terrore fornì le risposte meglio che poteva.
«Sei mai stato al circo?» chiese improvvisamente Billy.
Il cuore del Terrore balzò con rapimento.
Lì c’era l’interesse della sua vita; lì c’era l’opportunità di verificare o distruggere i suoi sospetti e le sue speranze su Billy. Con un improvviso flusso del discorso il Terrore raccontò, senza fiato e allegramente, di tutti i circhi che aveva visto. Aveva tutti i nomi sulla punta della lingua, insieme alle loro caratteristiche individuali, i loro punti di forza e le loro debolezze. Billy seppe da lui che nel sonno durante la notte aveva incubi sui circhi.
«Posso stare ritto sulla testa». Il Terrore se ne uscì improvvisamente con questo annuncio. Fece una pausa, guardando in su verso Billy. Per deduzione, ora toccava a Billy dire quali cose era capace di fare, quali gesta del circo sapeva compiere. C’era un che di sottile nel modo in cui il Terrore scopriva Billy.
«Sai fare le capriole?» chiese Billy.
«No; non ancora».
Billy si alzò, fece alcuni salti professionali, corse alcuni metri giù per il ponte, e poi rotolò così rapidamente che il Terrore non avrebbe saputo dire se le sue mani avessero toccato terra. Billy si inchinò profondamente, poi fece alcune delle sue capriole, suggerendo stramberie, e tornò al suo posto sulla cassa. La bocca del Terrore era parzialmente aperta, le mani serrate in una stretta nervosa.
«Sei mai stato hai mai avuto un circo?» Il Terrore parlava con soggezione, trattenendo l’emozione.
Billy si sporse e prese il Terrore fra le braccia. Lo sollevò e lo pose accanto a lui sulla cassa. Il Terrore sospirò in assoluto rapimento.
«Ho navigato su navi, e sono stato in mari e oceani», disse Billy. «Sono stato in paesi dove ci sono leoni e tigri e coccodrilli, elefanti e cacatua. Ho camminato nelle giungle e ho combattuto con i pellerossa. Vedi questa?» Billy mise il dito sulla cicatrice lustra sulla guancia.
«Sì», disse il Terrore.
«Me l’ha fatta un tipo. Accadde in un paese lontano. Cademmo. Si trattava di una vecchia faccenda, beh non ha importanza. Cademmo. Lui aveva un coltello in quel momento. Lui ambiva a un pezzo della mia guancia. Così io, beh neppure questo ha importanza».
«Dov’è ora l’altro tipo?».
«E’ in un posto molto lontano, orribilmente lontano, un posto con un clima forte».
«E ci sono leoni e tigri?».
«Ce ne sono, figliolo. E ci sono draghi e cose con occhi feroci, con il fumo che gli esce dalle narici, e le fiamme dalla bocca. E’ un paese molto lontano, e lui ora sta passando un periodo schifoso. Magari se mi avesse lasciato tutta la guancia ora mangerebbe fichi. Lui amava i fichi. Aveva un colorito molto intenso, e andava matto per il caldo. Ma mi aspetto che gradirebbe un bagno freddo in questo momento, se potesse averlo».
«E’ stato lui a darti gli orecchini?».
«No. Gli orecchini appartenevano a lei. A sua zia, intendo. Me li ha dati lei. Li porto sempre da allora. Era una zingara».
«Beh, pensavo tu fossi di un circo». C’era una nota di rammarico nel tono del Terrore.
«Lo sono, o lo ero. Mi sono stancato delle navi. Mi sono stancato di cavalcare cammelli e di troppa sabbia. Un deserto è la più grande rovina. Tu affronti solo il nulla per nulla. Allora una striscia di erba è un grande lusso. Una bisaccia con dell’acqua è un dono di Dio. Sono dannato ma vorrei arrivare più presto al canale». Quando disse questo, Billy buttò un occhio sulla prua della Barca Dorata; vi fu un sibilo fra i suoi denti, e il Terrore notò che cadde in acqua del succo di tabacco. Billy era un uomo splendido, senza dubbio.
Il Terrore cominciò a dondolare le gambe sulla cassa. «A me piacciono i circhi», disse.
«Anche a me, in un certo senso», concordò Billy. Tirò la cintura che controllava il suo guardaroba. Il Terrore aveva la vaga consapevolezza che Billy parlasse con autorità, che i suoi titoli nascessero dalla conoscenza.
«Sono stato impegnato nei circhi», disse Billy. «Il primo fu il famoso circo Sinclair. Sinclair era un grande uomo grosso e grasso. Ogni mattina per prima cosa prendeva per colazione una bistecca da due libbre. Per cena una testina di maiale, due piatti di cavoli, 14 libbre di patate, innaffiate da un quarto di stout. Era la star dello spettacolo, ma non era in programma. Sinclair diceva che era il costante cambiamento d’aria a sostenere il suo appetito e a permettergli di reggere la gara di circonferenza». Billy guardò lungo il suo corpo magro, nervoso e aggiunse pensieroso, «Io ero il pagliaccio».
L’emozione del Terrore salì, batté le mani, eccitato dal corso dei propri pensieri.
«Lo sapevo che lo eri: ci scommettevo che lo eri. Mi sono detto che eri un pagliaccio nel momento in cui ti ho visto cantare e saltare in giro per la barca. Quello che ti ci voleva erano i i i i pantaloni alla zuava, quelli con i grandi gambali larghi». Il Terrore illustrò i pantaloni con i gesti.
«Avevo le brache a posto» disse Billy quieto. «Quello che più mi ci voleva era la paga».
Di nuovo l’emozione del Terrore salì, i suoi colori si intensificarono. «Sei stato qualcos’altro nel circo oltre che il pagliaccio?» chiese speranzoso.
«Oh, sì, certo che lo sono stato. Sono stato il pagliaccio, il cavallerizzo che monta a pelo, sai nell’acrobazia del Capo Indiano Nord Americano, il tipo che dice ‘Oh, il piccolo babbuino!’, il giocoliere con le palline, le bottiglie, i coltelli e i piatti, l’uomo sul trapezio, il funambolo e quello che nella tenda dove ci si cambia fa fare la pace al direttore del circo e a sua moglie, che teneva Sinclair sospeso a una morsa tenuta con la bocca, reggendosi al trapezio solo con le caviglie. Non era nulla la morsa che usava per reggere suo marito, il direttore del circo, da quando non stava lavorando al suo contratto».
«L’ho vista», disse il Terrore. «Era grande».
«Ma era diventata troppo pesante per il trapezio, e Sinclair era diventato sensibile quando veniva fatto oscillare in collant rosa. Così lei prese ad andare in giro su un cavallo con la schiena imbottita, fingendo di essere un giovane marinaio che innalzava vele immaginarie sull’albero, mentre la banda suonava ‘La Cornamusa del Marinaio’ e lei dava zampate all’aria con i piedi cercando di far credere che stesse ballando. L’ultima volta che la vidi, era uscita dal programma, era guardarobiera, mezza cieca a causa del cucito, usava un brutto linguaggio. E quanto al povero vecchio Sine, era ridotto a uno scheletro. Avrebbe potuto continuare in una piscina come aringa e demolì la casa».
«Ma tu eri l’intero circo», esclamò il Terrore con ammirazione illimitata.
«Io ero il sostegno principale», ammise Billy con tolleranza. Ero abituato a dormire sotto il telone della tenda in un carro aperto che andava da un posto all’altro, perché dovevamo fare un nuovo villaggio ogni giorno. Potevo svegliarmi in una notte strana e fare l’occhiolino alle stelle. Un paio di volte lo spettacolo terminò al canto del gallo senza di me. Io dovetti seguire a piedi. Una mattina camminai dieci miglia con tre serpenti in tasca, perché avevano lasciato indietro anche loro.
Continuai finché non vollero che prendessi un maglio, tirassi giù tutti i piedi di porco a cui erano fissate le corde del tendone e mi preparassi vestito per montare dei trampoli da quindici piedi per la processione di mezzogiorno. Io dissi a tutti loro di andarsene a quel paese che io non ero adatto per il Paradiso».
Un’onda di acuta emozione riempì il Terrore. Sentì che quest’uomo splendido aveva subito un torto e che persino la gente del circo poteva essere insensibile. Si appoggiò un po’ contro il cappotto ruvido di Billy con silenziosa simpatia.
«Cosa hanno fatto senza di te?» chiese infine. Si aspettava che tutto fosse almeno andato a catafascio quando Billy ritirò il suo genio.
«Hanno preso qualcun altro», disse Billy allegramente. «Diventai orribile prima di andarmene. Sai, posso essere molto spiacevole. Posso fare cose come fai tu, cose che non ho il diritto di fare, e feci cose dopo lo spettacolo finché quello che suonava i tamburi e i cembali nella banda uscì dal carro; aveva una bacchetta da tamburo e venne dal retro. Quando mi svegliai di nuovo se ne erano tutti andati. Era la mattina successiva».
«Non sei più andato in un altro circo?».
«Lo feci dopo un po’. Era un piccolo spettacolo carino. Venivo apprezzato. La persona che lo possedeva pensava bene di me. Portavo rinfreschi in modo discreto ai carri privati. Facevo buone contrattazioni per l’avena e il fieno per i cavalli; riducevo le spese e a lei faceva piacere. Ci fu un momento in cui ero talmente gradito che mi bastava uscire come capo pagliaccio, cantare ‘Brigid Donohoe,’ e per fare il bis ‘The Stone Outside Dan Murphy’s Door,’ raccontare sei barzellette con i baffi rossi, baciare due ragazze nella platea, e avere carne fredda e birra per cena e Lei ad aspettarmi mettendomi zollette di zucchero in bocca, tanto per dire. Avrei potuto vivere là per sempre solo che, beh non importa. E’ un mondo malvagio».
«Cos’è successo?». Il viso del Terrore era impaziente.
Billy strattonò la cintura. «Beh, vedi, questo fu il colmo. Il marito della persona che possedeva lo spettacolo andava in avanscoperta. Ci precedeva sempre di una settimana, mettendo i manifesti e bevendo. Un giorno si presentò quando nessuno se lo aspettava o lo voleva. Si prese un’antipatia nei miei confronti e io me ne andai. Aveva ferito i miei sentimenti».
Billy si alzò. «Ora, figliolo», disse, «si sta facendo tardi. Ti staranno aspettando a casa. Io vado a letto presto e vorrei mangiare qualcosa prima di dormire».
«Vuoi, vorresti, potresti mangiare lattuga», chiese il Terrore, in piedi di fronte a Billy sul ponte.
Billy fischiò.
«Hai la mia parola», disse, masticando. «L’identico articolo con guanciale freddo di maiale. Cosa ne pensi? Darei il mio cappello per averne un cespo».
Il Terrore scivolò giù dalle tavole verso la riva. Billy guardò la sua figura sparire lungo la strada.
«Un minuscolo ragazzo carino», disse con tolleranza. Stette sul ponte guardando nell’acqua. Era indistinta nella luce incerta. Poi qualcosa ci cadde dentro dalla riva. Vide una figura piccola fare un’increspatura sulla superficie e tagliare via attraversandola direttamente, un piccolo grugno appena visibile. Era un topo d’acqua.
«Povero diavolo», disse Billy, perché le sue simpatie erano ampie. Sapeva cosa significava badare a se stesso.
Sulla strada risuonarono alcuni passi. La figura del Terrore arrivò correndo, stringendo qualcosa fra le braccia. Corse su per le tavole.
«Ti farà bene stasera», disse spingendo qualcosa nella mano di Billy. Girò sui tacchi e sparì. Alcune teste di lattuga caddero sul ponte. Erano bagnate di rugiada. L’argilla intorno alle radici era fresca. Erano state raccolte frettolosamente. Billy le raccolse e andò verso il ronzio della cabina.
Il Terrore visse per alcuni giorni in uno stato di dolce estasi. Era il confidente, l’amico di un grande uomo, un uomo che aveva viaggiato il mondo e che ora viveva in una barca in un canale. Non c’era dubbio sulla sua grandezza. Bastava guardargli la cicatrice, gli orecchini, il modo in cui sapeva fare i salti mortali, il modo in cui sapeva cantare, la buffoneria nei movimenti delle sue gambe. Andare a scuola sembrava una faccenda ridicola, insulsa, se confrontata con la grande vita che Billy rappresentava. Giocare a biglie con gli altri ragazzi era un affare sbiadito. Semplicemente fece a meno dei suoi compagni. Seduto sulla cassa sulla Barca Dorata ascoltava Billy, lo guardava, si sfregava su di lui, lo nutriva con lattuga rubacchiata! Perché, se fosse stato autorizzato e capace di nutrire animali selvaggi non sarebbe stato più eccitante. Al solo pensiero il Terrore saltellava ora su una gamba ora sull’altra.
Una sera ci fu la storia di un paese lontano, un paese così caldo che si potrebbe vivere delle pesche che pendono sopra la testa dovunque si vada. Poi ci fu quella di un posto dove Billy aveva visto chicchi di grandine grandi come noci di cocco, e così duri che uno di loro era noto per aver spaccato il cranio di un negro. Ancora, ci fu una faccenda in una canoa su un fiume della foresta dove Billy aveva lasciato un ricordo che sarebbe durato per sempre nelle tagliatelle di tutti i brodi di coccodrillo. Battaglie con orde di zanzare in aria, lotta con serpenti nell’erba, un giro sulla sabbia nel deserto a cavallo di uno struzzo, affondamento di una nave in mezzo all’oceano era perfetto. E sullo sfondo di tutto c’era l’atmosfera del circo, suggerita da improvvisi frammenti di canzoni nel mezzo di sensazioni tropicali, la ripetizione di un incontro con il direttore del circo, ed i capperi di Billy che fecero stridere il Terrore di risate. Poi una sera la gioia di tutto questo si concentrò nella offerta di Billy di fare un paio di trampoli sui quali avrebbe insegnato al Terrore a camminare.
Questo fu dove arrivò il Terrore, dove fu in grado di stupire anche Billy. I trampoli vennero fatti, prodotti, praticamente abbracciati, e portati a casa con il cuore esultante. La sera successiva, era talmente intelligente l’allievo, così persistente la pratica per tutto il giorno nella privacy di un cortile, che senza lezioni fu in grado di camminarci sopra accanto alla siepe lungo la strada verso la barca. Arrivò con la traccia eterna di un sorriso sotto il cappello morbido. Billy lo elogiò un po’, ma immaginate solo ciò che fu una parola di lode dall’uomo che un tempo era stato l’intera performance nel famoso circo di Sinclair! Il Terrore sedette sulla cassa con i trampoli accanto, un’espressione di ambizione rapita sul volto. Avrebbe camminato persino fino alle stelle sui suoi trampoli!
Fu una settimana celeste. Il mondo pulsava. Era pieno di un’avventura che era appena nata, ancora da realizzare. Il Terrore di volta in volta si sentiva eroico, magistrale, in grado di devastazione, dispenser di orrori, di misericordia, di gentilezza, di lacerazioni, di morti terribili, di salvataggi superbi, di melodrammatiche asserzioni del diritto sulla forza.
Ma poi arrivò il week-end. Le persone sulla barca andarono dalle loro mogli e nelle loro case per la domenica. Billy non aveva una casa e una moglie da cui poter andare. Dunque, gli venne affidata la Barca Dorata. Si sedette sconsolato su un barile vuoto capovolto. La prospettiva di una serata con il Terrore, delle lattughe che avrebbe portato, mancava di vivacità. Sembrava troppo far parte del paesaggio pastorale intorno a lui. Alcuni corvi gridarono in alto, ma persino loro avevano un nucleo sociale, una casa, un nido. Un gabbiano errante gridò, e portò il ricordo di luoghi che i mari lavavano. Una mucca miagolava sopra una siepe, il suo tributo vocale alla sera era di desolazione. Non appena Billy lo sentì balzò in piedi, dicendo: «Ecco fatto». Si strattonò intorno la cintura, camminò lungo la riva, e si diresse verso il villaggio.
Quando il Terrore arrivò trovò la barca deserta. Camminò sul ponte, esplorò la cabina. Lasciò i trampoli accanto alla cassa, e si sedette pazientemente finché non arrivò un guardiano.
«Stai cercando Billy?» chiese il custode.
«Sì».
«Beh, puoi tornare a casa. Billy è scoppiato».
Il Terrore non capì. Attese. Alla fine Billy venne giù per la strada, barcollando. Il Terrore gli andò incontro. Billy teneva la testa abbassata. Quando il Terrore lo vide, il suo volto era cambiato. C’era un cipiglio, qualcosa negli occhi che fecero allontanare il Terrore di un passo da lui.
«Vai a casa» borbottò Billy. Fece un movimento vago con una mano. Sembrava avere solo un un’idea generale, incerta della posizione delle cose. Il Terrore non andò a casa. Un tocco di ribellione si insinuò nel mite viso rotondo.
«Non vado a casa», disse.
«Non ci vai?».
«No. Non per te».
Billy barcollò fino alla barca e gironzolò sul ponte. Il Terrore rimase a guardarlo dalla riva, le mani dietro la schiena.
«Vai a casa», arrivò di nuovo il comando.
«No», fu la risposta senza compromessi.
Billy inciampò in uno dei trampoli. Lo sollevò con la mano. Poi si avvicinò a una cassa, sollevò il coperchio, tirò fuori una scure. Il Terrore non si mosse quando Billy buttò giù l’ascia verso il trampolo. L’obiettivo era incerto, ma lo colpì finché non andò in pezzi.
«Ora andrai a casa?» domandò.
«No, se non mi va».
Il trampolo in frantumi cadde in acqua. Gli occhi del Terrore stavano sui pezzi che galleggiavano, ondeggiando contro il lato della Barca Dorata.
Billy venne barcollando, ma minaccioso, verso la riva. Il Terrore indietreggiò di alcuni metri, gli occhi brillanti, le mani contratte. Billy si guardò intorno stupidamente, poi strattonò la cintura e si diresse di nuovo verso il villaggio. Il Terrore lo guardò finché se ne fu andato, poi andò a bordo. Tirò dritto verso la cabina di Billy. Tirò fuori il letto dalla cuccetta, sbatté in giro la biancheria del letto. Gli rovesciò sopra un barile di acqua; un po’ colò fuori sul letto. Prese il bollitore, la pentola, le poche tazze di smalto, la padella, i cucchiai, coltelli e forchette e le buttò in giro. In un ripensamento prese la forchetta e la bloccò attraverso il cuscino. Aprì il piccolo armadio. C’erano mezza pagnotta e la mascella di un maiale in salamoia. L’osso che il Terrore aveva farcito nella stufa a carbone. Ripiegò il pane in un canovaccio e lo pose sopra la stufa. Poi andò in coperta. C’erano alcuni sacchi accanto a una scala a pioli. Posò la scaletta contro il fumaiolo e, prendendo i sacchi, salì i gradini. Respirava forte mentre riempì il fumaiolo con i sacchi.
«Ora», si disse mentre scendeva, «quando accenderà il fuoco di sotto lo soffocherà». Quando lasciò la barca il Terrore era nero come una ramazza, mani e viso, ma era soddisfatto. Andò a casa, si lavò, disse le preghiere, andò a letto, e sognò che in una giungla stava combattendo una tigre che, in un momento critico, si trasformò in un coccodrillo e, infine, in un paio di trampoli su cui il Terrore attraversava un deserto.
Billy quella notte era vincolato alla Barca Dorata da un guardiano. Affrontarono i gradini fino alla cabina con straordinaria abilità. Quando il guardiano accese un fiammifero e lo pose sulla candela, lui fissò la scena.
Il guardiano si voltò verso di lui.
«Billy», disse, «qualcuno ha distrutto la cabina. Ha distrutto la barca».
Billy sbatté le palpebre, poi si mise a ridere scioccamente. Proruppe in una canzone. Il guardiano dedusse che Billy cantava di Brigid Donohoe, «Io ti amo davvero », poi cadde a terra sul letto sfatto, con la testa appoggiata al barile d’acqua. Il guardiano vide la figura prostrata dalla disperazione, sospirò, e andò a casa. Aveva appena messo piede sulla riva quando Billy stava sognando di essere in calzamaglia rosa, esibendosi nella grande impresa di balzare preciso dal terreno sulla schiena nuda di un cavallo che girava intorno al ring, dopo il necessario numero di finti fallimenti per eccitare i sentimenti del pubblico bucolico. Quando la band intonò uno squillo trionfale Billy voltò la testa sopra il barile vuoto.
La mattina dopo il Terrore passò davanti alla barca lungo la strada per andare a scuola. In quel momento, Billy stava tirando fuori i sacchi dal fumaiolo. Il suo volto era coperto di fuliggine. Il volto del Terrore era pulito, i colori vividi sulla pelle pulita. Una cartella era appesa alla schiena, carica di libri e del pranzo. L’eterna traccia di un sorriso era diffusa sul volto mite. Ma non alzò mai lo sguardo verso Billy e la sua barca. Era l’immagine della rispettabilità. Billy lo guardò con curiosità, con gli occhi circondati di nero. Quella sera il Terrore arrivò lentamente lungo la strada canale. Era come sotto un incantesimo; la Barca Dorata lo attirava. Sul suo volto c’era uno sguardo di pentimento, di riconciliazione. Quando arrivò la Barca Dorata stava lasciando la chiusa. Il lavoro era finito. Stavano andando via. Una mano salutò il Terrore. Egli rimase immobile. Poi un paio di nuovi trampoli vennero lanciati sulla riva. Risuonarono davanti ai suoi piedi. Si chinò e li sollevò, ma senza gioia, perché vide che la figura di Billy stava camminando lungo il ponte. Stava cantando con la sua voce metallica. Le parole risuonavano sul paesaggio:
«Le ho mandato a casa una foto, l’ho fatto, sulla mia parola. Non una foto di me stesso, ma l’immagine di un uccello. Era l’Aquila Americana. Ho detto: ‘Miss Donohoe, Le ali di questa aquila sono grandi abbastanza per riparare me e voi’».
Poi le gambe di Billy cominciarono a fare forme sulla barca, che suggerivano varie buffonerie. Il suo cappello si piegò su un lato della testa. La barca scivolò via.
Il Terrore si sedette sotto l’ombra della siepe, gli occhi sulla barca, inchiodati sulla figura di Billy fintanto che era in vista. Dopo che se ne fu andato sembrò ci fosse un grande vuoto nel mondo. Tutto era miserabile, grigio, insoddisfacente. La sera stessa aveva perso la sua vivacità, il paesaggio i suoi colori. La terra si era rimpicciolita.
Arrivò un compagno, vide il Terrore con una certa sorpresa, si sedette accanto a lui, e gli chiese:
«Cosa c’è che non va?».
Il Terrore passò le dita su e giù per i trampoli, senza sembrare consapevole dell’azione. La sua testa pendeva sulle ginocchia spigolose. Il suo viso era rivolto a terra.
«Mi sento uno schifo», disse a bassa voce.

Traduzione di Anna Anzani

 

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(Loughrea, contea di Galway 1881 – 1918). Drammaturgo, romanziere, autore di racconti e giornalista, dopo aver frequentato la scuola locale (St. Brendan's College), O’Kelly iniziò la carriera giornalistica al “Southern Star” di Skibbereen, quindi si spostò a Naas per il "The Leinster Leader", dove rimase in redazione fino a quando andò a lavorare per l'amico Arthur Griffith al "Nationality", organo del Sinn Féin fondato da Griffith stesso nel 1906. Suo fratello venne arrestato durante la Rivolta di Pasqua e Seumas tornò al "Leinster Leader” per un breve periodo. Davanti agli uffici del “Leader” una targa in suo onore riporta 'Seumas O'Kelly - un rivoluzionario gentile'. Morì prematuramente, nel novembre 1918, negli uffici del “Nationality”, per un’emorragia cerebrale a seguito di violenze compiute all’interno del giornale da parte di truppe inglesi anti-Sinn Féin che festeggiavano la fine della prima guerra mondiale. Nella sua breve vita ebbe un’intensa produzione letteraria, in buona parte pubblicata postuma, e scrisse per numerosi giornali, tra cui il Saturday Evening Post e il The Sunday Freeman di Dublino. Scrisse diversi racconti, romanzi e commedie. Il suo The Weaver's Grave è considerato tra i racconti irlandesi più famosi. Una versione radio di questo racconto, adattata e prodotta da Mícheál Ó hAodha, ha vinto nel 1961 l'ambito Premio Italia per teatro radiofonico.