George Moore – L’impiegato e la sua ricerca

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1770

Per trent’anni Edward Dempsey

aveva lavorato al gradino più basso sulla scala degli impiegati nell’azienda di Quin e Wee. Faceva il suo lavoro così bene che pareva nato per farlo, e si riteneva che qualsiasi cambiamento che coinvolgesse Dempsey sarebbe stato infelice. I dirigenti avevano guardato Dempsey dubbiosamente e lo avevano lasciato alle sue abitudini.

Nuovi partner erano entrati nel business, ma Dempsey non mostrava alcun segno di interesse. Era interessato solo alla sua scrivania. Eccola lì, vicino alla finestra dalla luce fioca, con le sue penne, le sue gomme, con il righello, il tampone di carta assorbente. Dempsey era sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene.

Una volta sola, in trent’anni di lavoro, aveva accettato di prendersi una vacanza. Era stato un argomento di conversazione per tutta la mattina, e gli impiegati ridacchiarono quando entrò in banca nel pomeriggio dicendo che aveva guardato dalle vetrine sulla strada per tutta la mattina, ed era sceso giù in banca per vedere come se la cavavano.

Un oscuro, clandestino, taciturno piccolo uomo, che occupava nella vita solo lo spazio necessario per chinarsi su una scrivania, e la cui testa conica pendeva di lato, come in segno di umiltà.

Sembrava che Dempsey

non avesse altra ambizione che essere ammesso a ristagnare a una scrivania fino alla fine dei suoi giorni, e questa modesta ambizione sarebbe stata realizzata se non fosse stato per un piccolo incidente, l’unico incidente che si era fatto strada in una vita ben ordinata e strettamente sorvegliata come quella di Dempsey.

Un giorno d’estate, il calore dei lotti di terreno si alzò e riempì la finestra aperta, e i sensi sonnolenti di Dempsey vennero turbati da un profumo dolce e soave. In un primo momento gli fu difficile dire da dove fosse venuto; poi si accorse che proveniva dal fascio di assegni che teneva in mano; e poi che la carta profumata era di un assegno rosa pallido al centro del fascio.

Aveva a malapena visto un fiore in trent’anni, e non riusciva a determinare se l’odore fosse quello di reseda, o di caprifoglio, o di viola. Ma in quel momento gli furono richiesti gli assegni; li porse al suo superiore, e con mano fredda e mente attenta continuò a trascrivere le voci nel libro mastro fino a quando la banca chiuse.

Ma quella notte,

mentre si stava addormentando, gli tornò in mente il ricordo del profumo insinuante. Si domandò di chi fosse l’assegno, e si pentì di non aver guardato la firma, e molte volte durante le settimane successive si fermò mentre trascriveva le voci nel registro a pensare se il profumo ammaliante fosse rosa, lavanda, o reseda.

Non era profumo di rosa, era sicuro di questo. E un vago ondeggiare di speranza ebbe inizio. Sogni che erano morti o non erano mai nati galleggiavano come oggetti risaliti dalle profondità del mare, e molte vecchie cose che aveva sognato o non aveva mai sognato galleggiavano alla deriva tutte intorno.

Dal profondo della vita una speranza che non aveva mai conosciuto, o che la severa regola della sua vita quotidiana teneva sotto controllo da tempo, iniziò la sua lotta per la vita; e quando lo stesso dolce profumo nuovamente si manifestò – ora sapeva che era il profumo di eliotropio -, il suo cuore si innalzò e fu preso da un dolce tormento di desiderio.

Cercò l’assegno in mezzo al fascio degli assegni e, trovandolo, si premette la carta sul viso. L’assegno era vergato in una sottile scrittura femminile, ed era firmato “Henrietta Brown,” e il nome e la scrittura erano carichi di significati occulti nella mente turbata di Dempsey.

La sua mano si fermò in mezzo alle note, e divenne improvvisamente consapevole di alcune forme indistinte, deboli, gracili e profumate come l’ombra umida di primavera di una nuvola vagante, un’emanazione della terra, o perché non della donna stessa? Dempsey rifletté, la sua distrazione fu notata, e cagionò commenti tra gli impiegati.

Per la prima volta

in vita sua era contento quando le ore di ufficio terminavano. Voleva stare da solo, voleva pensare, si sentiva di doversi abbandonare alla nuova influenza che così improvvisamente e inaspettatamente era entrata nella sua vita. Henrietta Brown! il nome persisteva nella sua mente come una melodia metà ricordata e metà dimenticata; e nei suoi sforzi per ricordare la sua bellezza si fermò davanti alle fotografie nelle vetrine dei negozi; ma nessuno tra quelle celebrità famose o terribili lo aiutò in alcun modo.

Poteva solo immaginare Henrietta Brown volgendo i suoi pensieri dall’esterno e cercando il senso intimo dei suoi assegni profumati. La fine di ogni mese portava un assegno da Henrietta Brown, e per qualche istante l’impiegato fu trasportato e visse al di là di se stesso.
Un’idea si era fissata nella sua mente.

Egli non sapeva se Henrietta Brown fosse giovane o vecchia, bella o brutta, sposata o sola; il profumo e il nome erano sufficienti, e non potevano più essere separati dall’idea, che ormai faceva la sua strada attraverso le fessure nel cervello indebolito di questo povero impiegato scapolo –quell’idea di luce e di amore e di grazia così insita nell’uomo, ma che le rigide circostanze avevano costretto Dempsey a bandire dalla sua vita.

Dempsey aveva dovuto

mantenere la madre per molti anni, e gli era stato impossibile fare economia. Ma dal momento della sua morte aveva messo da parte circa 150 sterline. Pensava a questo denaro con timore, e intimorito dalla sua fortuna si chiese quanto ancora avrebbe potuto risparmiare prima di essere costretto a lasciare il lavoro; e toccare un centesimo dei suoi risparmi gli sarebbe parso un peccato prossimo al sacrilegio.

Eppure non esitò un solo istante per inviare a Henrietta Brown, il cui indirizzo era stato in grado di ottenere per via dei libretti bancari, una spilla di diamanti che gli era costata venti sterline. Omise di dire da dove fosse venuta, e per giorni visse in una calda sensazione di meraviglia, soddisfatto dal pensiero che lei indossasse qualcosa che lui aveva guardato e toccato.
Il suo sogno era ora con lui in ogni momento, e il suo dominio era così completo che trascurava i suoi doveri in banca, e venne ripreso da uno stupito principale. Il cambiamento della sua situazione era così evidente che divenne soggetto di pettegolezzi, e gli scherzi ora cominciavano a diventare serie congetture.

Dempsey non ci fece caso,

e suoi piani maturavano tra scherzi e ipotesi. Il desiderio di scrivere e rivelarsi alla sua amata era diventato imperativo; e dopo qualche leggerissima esitazione – era mosso più dall’istinto che dalla ragione – le scrisse una lettera sollecitando la fatalità delle circostanze che li separavano, e spiegandosi, piuttosto che scusandosi, nella rivelazione della propria identità.

La sua lettera era piena di deferenza, ma allo stesso tempo non lasciava dubbi sulla natura dei suoi desideri e delle sue speranze. La risposta a questa lettera fu una nota gentile che lo pregava di non persistere in quella corrispondenza, e lo avvertiva che, se lo avesse fatto, si sarebbe reso necessario scrivere al direttore della banca.

Ma la restituzione della spilla non dissuase Dempsey dal perseguimento del suo ideale; e con il passare del tempo diventò sempre più impossibile per lui astenersi dallo scrivere lettere d’amore, e dall’inviare occasionali regali di gioielleria.

Quando le lettere e i gioielli gli vennero restituiti li mise via con noncuranza, e comperò il primo brillìo di diamanti che attrasse la sua fantasia; e inviò l’anello, il bracciale e gli orecchini con tutte le parole d’amore estatico che gli vennero alla mente.

Un giorno fu chiamato nella stanza del direttore,

rimproverato severamente, e infine graziato in considerazione del suo lungo e fedele servizio. Ma i rimproveri dei suoi datori di lavoro non erano di alcuna utilità e continuò a scrivere a Henrietta Brown, sempre più incurante del proprio segreto.

Lasciava cadere le spille in ufficio, e anche le sue lettere. Alla fine si sussurrava della vicenda da scrivania a scrivania. Il licenziamento di Dempsey fu l’unica strada praticabile, per la banca; e fu con molto rammarico che i soci dissero al loro vecchio impiegato che i suoi servizi non erano più necessari.

Con loro grande sorpresa Dempsey

non sembrava affatto colpito da suo licenziamento; pareva persino sollevato, e lasciò la banca sorridente, pensando a Henrietta, non dedicando nessun pensiero alla propria mancanza di mezzi. Non pensò nemmeno di sostenersi con i soldi ricavati dalla vendita di alcuni dei gioielli che aveva con sé, né di andare al suo alloggio e impacchettare i vestiti, non pensava come sarebbe arrivato a Edimburgo –dove viveva lei.

Pensava a lei, senza nemmeno pensare ai modi più semplici per raggiungerla ed era contento di camminare per le strade di buon umore, in attesa delle manifestazioni di qualche fantasma evanescente al bordo del bosco con una stella sulla fronte, o scorgendo nelle profondità del bosco una spalla scintillante e piedi in corsa verso le canne.

Pieno di un’aspirazione felice vagava cercando di paese in paese, attraverso i numerosi villaggi sbandati che penzolano come bambini intorno alle gonne di Dublino, e stava passando attraverso uno di questi al calar della notte quando, sentendosi stanco, entrò in una locanda e chiese pane e formaggio.

«Vieni da un lungo cammino, amico?» disse uno dei due ruvidi avventori.
«Sto percorrendo un lungo cammino», rispose Dempsey; «Sto andando a nord, molto lontano a nord».
«E per che cosa vai così lontano a nord, se posso ardire di chiedere?».
«Vado dalla signora che amo, e le porto bellissimi regali di gioielli».

I due rozzi compagni

si scambiarono un’occhiata; ed è facile immaginare come Dempsey venne indotto a dar loro i suoi diamanti, così che un amico dietro l’angolo potesse far loro sapere quanto fosse il loro valore. Dopo aver aspettato un po’, Dempsey pagò per il suo pane e formaggio e andò alla ricerca dei ladri. Ma il volto di Henrietta Brown cancellò ogni memoria di ladri e diamanti, e lui vagò per qualche giorno, sostenuto dal suo sogno e dalle croste di pane che il suo aspetto attirava da parte dei pietosi. Alla fine trascurò perfino di chiedere le croste di pane, e, senza cibo, seguì una visione incerta, dall’alba al tramonto.

Era una morbida,

tranquilla notte d’estate quando Dempsey si sdraiò a dormire per l’ultima volta. Era molto stanco, aveva vagato per tutto il giorno, e si gettò sull’erba sul ciglio della strada. Giaceva lì a guardare le stelle, pensando a Henrietta, sapendo che tutto stava scivolando via, e lui stava passando via, nel senso più celeste.

Henrietta sembrava venirgli più vicino rivelandosi più chiaramente; e quando la parola ‘morte’ gli fu in gola, e gli occhi si aprirono per l’ultima volta, gli parve che una delle stelle scendesse dal cielo e poggiasse il suo volto luminoso sulla sua spalla.

Traduzione di Silvia Accorrà

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