Subito dopo cena il resto della piccola compagnia che soggiornava presso il mio amico Geoffrey Aldwych, nell’incantevole, antica casa che egli aveva di recente acquistata in un paesino a nord della costiera di Sheringham on the Norfolk, se n’era andato a giocare a bridge e a biliardo, mentre io e Mrs. Aldwych per il momento eravamo stati lasciati soli nel salotto, seduti uno di fronte all’altra a un tavolino rotondo che, con molta pazienza ma senza successo, avevamo tentato di far girare. Ma la pressione, sia psichica che fisica, che avevamo esercitato su di esso, per quanto della natura più amichevole e incoraggiante, non aveva minimamente prevalso sulla scarsa inerzia che un oggetto così minuscolo ritenevamo possedesse. Nemmeno un fremito si era trasmesso alle sue gambe sottili e affusolate. Di conseguenza noi, dopo un periodo davvero notevole di pazienti sforzi, l’avevamo lasciato al suo ligneo riposo, e ci eravamo invece dedicati a teorizzare su argomenti di natura psichica, senza lasciare che uno stupido tavolino contraddicesse nella pratica tutte le nostre idee in proposito.
Ciò l’avevo aggiunto io stesso, con una certa amarezza originata dalla consapevolezza del nostro fallimento, visto che, se non eravamo stati in grado di spostare un oggetto così insignificante, potevamo anche rinunciare all’idea di spostare alcunché. Ma queste parole mi erano appena uscite di bocca quando dal tavolino abbandonato venne fuori un solo, perentorio colpo, molto forte e piuttosto impressionante.
«Che cosa è stato?», chiesi.
«Solo un colpo», disse la donna. «Pensavo che qualcosa sarebbe accaduto, prima o poi».
«E voi davvero pensate che sia il colpo di uno spirito?», chiesi.
«Oh, mio Dio, no. Non penso che abbia nulla a che fare con gli spiriti».
«Forse ha a che fare più con il clima estremamente secco di questi giorni. Spesso i mobili scricchiolano così, in estate».
Questo, in realtà, non era il caso. Mai, né d’estate o d’inverno, avevo sentito un mobile scricchiolare come aveva scricchiolato quel tavolino, dal momento che quel suono, qualunque cosa fosse, non assomigliava per nulla al rauco schiocco del legno che si contrae. Era un colpo fragoroso e netto, come un violento impatto fra due oggetti.
«No, io non penso che abbia nulla a che fare nemmeno con il tempo», disse lei, sorridendo. «Ritengo, se proprio lo volete sapere, che sia il risultato diretto del nostro tentativo di girare il tavolo. Pensate che questa sia una sciocchezza?».
«Al momento, penso di sì», dissi, «sebbene sia indubbio che, se ci provaste, potreste farla anche sembrare un cosa ragionevole. Noto che in voi e nelle vostre teorie c’è una certa plausibilità…».
«Ora state andando troppo sul personale», osservò.
«Lo faccio per una buona ragione: per stimolarvi a fornire altre spiegazioni e approfondimenti. Ve ne prego, proseguite».
«Usciamo a fare due passi, allora», disse lei, «e sediamoci in giardino, se siete tanto sicuro di preferire al bridge la mia capacità di rendere le cose plausibili. C’è un clima delizioso, e…».
«E l’oscurità è più indicata per la manifestazione dei fenomeni psichici. Come nelle sedute spiritiche», dissi io.
«Oh, non c’è nulla di psichico nella mia plausibilità», disse. «I fenomeni cui mi riferisco sono puramente fisici, secondo la mia teoria».
Così, uscimmo fuori nella mezza luce translucida di una moltitudine di stelle. L’ultima fascia color porpora del tramonto, che a lungo aveva indugiato a occidente, era stata spazzata via dal soffio del vento notturno, e la luna, che stava sorgendo, non si era ancora stagliata sul fioco orizzonte del mare, che giaceva calmissimo, respirando piano nel suo sonno increspato dal sussurro delle onde. Lungo lo scuro velluto del prato tagliato corto, che dalla casa si stendeva verso il mare, soffiava una lieve brezza colma di un sapore salmastro e della freschezza della notte, con, di tanto in tanto, un aroma così sottilmente comunicato da essere quasi impercettibile del suo percorso attraverso la dormiente fragranza delle aiuole sonnacchiose, sopra le quali vagavano pallide le falene, alla ricerca del nettare notturno. La casa stessa, con le sue due torri merlate elisabettiane, rifletteva la luce dalle finestre: noi la passammo sottraendoci alla sua vista, inoltrandoci nell’ombra di una siepe di bosso, tagliata in forme e fantasie mostruose, e ci sedemmo presso la tenda a strisce, all’estremità del campo da gioco coperto delle bocce.
«Tutto ciò è molto plausibile. Vi sono teorie che, se non vi dispiace, lo spiegano in dettaglio, ed è possibile che ve ne sia anche un’illustrazione a tutto tondo».
«Con questo volete intendere una storia di spettri, o qualcosa del genere?»
«Precisamente. E, senza alcuna pretesa di imporvelo, possibilmente una storia di prima mano».
«Stranamente, sono anche in grado di fornirvene una», disse. «Perciò prima di tutto vi esporrò la mia teoria generale, e poi proseguirò con una storia che sembra confermarla. È qualcosa che è accaduto a me, e che è accaduto qui».
«Sono certo che ciò mi soddisferà pienamente».
Tacque per un istante mentre accendevo una sigaretta, e poi cominciò con la sua voce chiara, piacevole. Aveva la voce più razionale che conoscessi e, mentre sedevo nella più completa oscurità, pensavo che le sue parole incarnassero perfettamente la chiarezza, poiché esse cadevano nella quiete immobile del buio, per nulla influenzate dalle impressioni che si comunicavano agli altri sensi.
«Stiamo appena iniziando a farci delle idee», disse, «su quanto sia inestricabile il reciproco legame fra mente, anima, vita – chiamatela come vi piace – e la parte più puramente materiale della creazione. Naturalmente l’esistenza di un tale legame è conosciuta da secoli: i medici, per esempio, sapevano che un carattere allegro e ottimista portava il paziente verso la guarigione; che la paura, o la semplice emozione, avevano un effetto ben definito sulla frequenza cardiaca, che l’ira produceva modificazioni chimiche nella composizione del sangue, che l’ansia portava alla cattiva digestione, che un uomo, quando è preda di una forte passione, può fare cose che normalmente sarebbe fisicamente incapace di compiere. In questi casi abbiamo la mente che, in una maniera semplice e familiare, induce alterazioni ed effetti sul corpo, in ciò che è puramente materiale. In conseguenza di ciò – per quanto, in verità, non si tratti di una vera e propria conseguenza – possiamo attenderci di trovare che la mente eserciti un effetto non solo su ciò che chiamiamo la materia vivente, ma anche sulle cose morte, come un pezzo di legno o di pietra. O, almeno, è difficile pensare che non debba essere così».
«Come muovere un tavolino, ad esempio?», chiesi.
«Questo è un esempio di come una certa forza, una di quell’innumerevole legione di forze di cui gli esseri umani sono provvisti, possa trasmettersi, come fa costantemente, sulle cose materiali. Non conosciamo le leggi della sua trasmissione; talvolta ci piacerebbe che si trasmettesse, ma non lo fa. Poco fa, ad esempio, quando abbiamo tentato insieme di far girare il tavolino, c’è stato come un impedimento al suo spostamento, per quanto io abbia ritenuto quel colpo che ne è seguito come un effetto dei nostri sforzi. Ma non vi è nulla di più naturale del fatto che queste forze debbano essere trasmissibili alla materia inanimata. Del modo in cui questa trasmissione avviene non sappiamo pressoché nulla, analogamente a ciò che sappiamo circa il modo in cui si manifesta il processo per cui la paura accelera la frequenza cardiaca. Ma, così come sappiamo per certo che i messaggi radio attraversano l’aria senza bisogno di un ponte percepibile ai sensi, allo stesso modo queste forze, percorrendo una via segreta del corpo, possono uscire dalla cittadella dello spirito ed esercitarsi sulle forme della materia, sia che tale materia viva in noi stessi, sia che la si chiami natura inanimata».
Fece una pausa.
«In certi casi», continuò, «sembra che la forza che si è trasmessa da noi agli oggetti inanimati possa manifestarsi in essi. La forza esercitata su un tavolino può mostrarsi nei movimenti o nei rumori che da questo provengono. Il tavolino è stato caricato con energia fisica. Ho visto molto spesso un tavolino o una sedia muoversi senza alcun intervento esterno, ma solo quando essi hanno ricevuto un determinato eccesso di forza, o di magnetismo animale – chiamatelo come vi piace. Un fenomeno che ritengo parallelo a questi si manifesta in ciò che ci è noto come “le case stregate”, le case in cui, solitamente, è stato compiuto un crimine o si è prodotto un atto dominato dalle emozioni o dalla passione, e in cui l’eco o la ripetizione del fatto si rende periodicamente visibile o udibile. Poniamo che sia stato commesso un assassinio, e la stanza dove esso ha avuto luogo sia stregata. La figura dell’assassinato o, meno di frequente, dell’assassino, verrà vista dai sensitivi, e si udranno delle grida, o dei passi di corsa avanti e indietro. In qualche modo l’atmosfera si è caricata della scena, e la scena, in tutto o in parte, continua a ripetersi, sebbene non si sappia in virtù di quale legge. Solo un fonografo usato correttamente potrà ripetere ciò che è stato detto in quel luogo».
«Questa non è che una teoria», osservai.
«Ma mi sembra che essa dia conto di un bell’insieme di fatti, il che è ciò che si richiede a una teoria.
Se così non fosse, dobbiamo o dichiarare francamente che non crediamo per nulla alle case stregate o, al contrario, supporre che lo spirito della povera, disgraziata vittima, sia costretto in certi casi a ripetere l’orrore che ha colpito il suo corpo. Non è sufficiente che il suo corpo sia stato ucciso proprio in quel luogo: la sua anima vi è stata riportata per rivivere di nuovo il fatto, con una tale intensità da rendere la sua angoscia percepibile agli occhi o alle orecchie del sensitivo. Ciò è impensabile per me, mentre la mia teoria non lo è affatto. Sono riuscita a spiegarmi?».
«È chiaro a sufficienza», dissi «ma vorrei che portaste un sostegno a ciò che dite, vorrei un’illustrazione a tutto tondo».
«Ve l’avevo promessa, una storia di spettri di cui io stessa ho fatto esperienza».
Mrs. Aldwych tacque di nuovo, e poi cominciò la storia che doveva illustrare la sua teoria.
«È passato giusto un anno», disse, «da quando Jack ha acquistato la casa dalla vecchia Mrs. Denison. Entrambi, sia io che lui, avevamo sentito dire in giro che la casa fosse stregata, ma non conoscevamo i particolari circa il tipo di manifestazione. Il mese scorso sentii ciò che ritenevo fosse il fantasma, e quando, la scorsa settimana, Mrs. Denison vene a stare da noi, le chiesi che cosa fosse esattamente, e trovai che ciò concordava esattamente con la mia esperienza. Prima vi racconterò la mia esperienza, e poi vi fornirò la versione di Mrs. Denison.
«Il mese scorso Jack doveva stare fuori casa per qualche giorno e io rimasi qui da sola. Una domenica sera, trovandomi, per quanto mi constava, nelle mie normali condizioni di salute e di spirito – che sono entrambe eccellenti – andai a letto verso le undici. La mia camera è al primo piano, vicino alle scale che portano al piano successivo. Nel mio corridoio ci sono altre quattro stanze, tutte vuote quella notte, e in fondo c’è una porta che dà sul pianerottolo della scalinata centrale. Sul lato opposto di questa, come sapete, vi sono altre camere da letto, anch’esse non occupate quella notte. Di fatto, ero l’unica che dormiva al primo piano.
«La testata del mio letto è appena dietro alla porta, sopra c’è una lampada elettrica, comandata da un interruttore all’estremità del letto. C’è poi un altro interruttore che accende una luce nel corridoio fuori dalla camera. Questa era un’idea di Jack: se per caso qualcuno vuole lasciare la propria camera quando la casa è al buio, prima di uscire non fa altro che accendere la luce in corridoio, senza il bisogno di brancolare nell’oscurità per trovare l’interruttore fuori.
«Di solito io ho il sonno pesante: è veramente insolito che, dopo essermi addormentata, mi risvegli prima che qualcuno mi venga a chiamare. Ma quella notte mi risvegliai, il che era raro; ma ciò che era ancora più raro fu che mi risvegliai in uno stato di agitazione e di indicibile terrore. Cercai di localizzare il mio panico, di ritornare in me e di scacciarlo con la ragione, ma senza alcun successo. Il terrore di qualcosa che non riuscivo nemmeno a immaginare mi fronteggiava, un terror bianco, agghiacciante. Perciò, essendo inutile giacere al buio in preda ai brividi, accesi la luce e, con l’intenzione di vincere questo strano, pauroso malessere, ripresi a leggere il libro che avevo portato con me. Il titolo del volume era “Il garofano verde”, un’opera che presumibilmente poteva essere ritenuta un tonico per i nervi scossi. Ma, nonostante i miei buoni propositi, ciò non ebbe successo, e dopo aver letto qualche pagina, aver sentito che il battito del cuore che mi tambureggiava in gola non trovava pace, e che la stretta del terrore non si rilassava in alcun modo, spensi la luce e di nuovo mi coricai. Prima di far ciò, guardai comunque la sveglia e ricordo che mancavano dieci minuti alle due.
Sta di fatto che le cose non miglioravano: il terrore, che stava gradualmente trasformandosi in qualcosa di più definito, il terrore di qualche azione oscura e violenta che si stava avvicinando sempre più a me, mi teneva in suo possesso.
«Qualcosa stava avanzando, qualcosa il cui avvento era percepito dal mio subconscio, e già si trasmetteva alla parte conscia di me stessa. E poi la sveglia suonò due tintinnii metallici, e l’orologio centrale al di fuori della casa batté le ore ancor più sonoramente.
Io giacevo ancora lì, atterrita e con il cuore in subbuglio. Poi sentii un rumore proprio fuori dalla mia camera, sulle scale che, come ho detto, portano al secondo piano, un rumore perfettamente comune e inequivocabile. Rumore di piedi come di qualcuno che scendesse al buio le scale in direzione del mio corridoio: potevo anche sentire il rumore della mano che brancolava, scivolando e scorrendo lungo la balaustra delle scale. I passi avanzarono nei pochi metri di corridoio fra il pianerottolo e la mia porta, e poi sentii la porta stessa sfiorata dal drappeggio, e il cieco brancolare delle dita sui pannelli. La maniglia tremò come se le dita si posassero su di essa, e il mio terrore fu tale che mi trovai sul punto di urlare.
«Poi mi sovvenne una speranza del tutto ragionevole. Il vagabondo notturno poteva essere qualcuno della servitù, o che non stesse bene o che fosse alla ricerca di qualcosa. E tuttavia, perché il passo strisciante e la mano brancolante? Ma nell’esatto momento in cui questa speranza sorgeva (poiché sapevo che ciò di cui avevo paura erano i passi e ciò che si muoveva al buio nel corridoio) accesi sia la luce al mio capezzale che quella del corridoio e, dopo aver aperto la porta, guardai fuori. Il corridoio era in piena luce dall’inizio alla fine, e perfettamente vuoto. Tuttavia, mentre guardavo, senza scorgere nulla che camminasse, continuavo ad ascoltare. Lungo il pavimento illuminato sentivo lo strisciare dei passi indebolirsi mentre si allontanava, finché, a giudicare dal rumore, esso si volse in fondo verso la galleria e cessò del tutto. E con esso cessò in quel momento anche il mio terrore. Era di quel Qualcosa che avevo avuto paura: ora quel Qualcosa e il mio terrore erano passati. Così tornai a letto e dormii fino al mattino».
Di nuovo Mrs. Aldwych fece una pausa, e io non parlai. In qualche modo l’orrore stava proprio nell’estrema semplicità della sua esperienza. Poi, quasi immediatamente, continuò.
«E ora il seguito», disse, «di ciò che ritengo sia la spiegazione. Mrs. Denison, come vi ho detto, venne a stare da noi non molto tempo fa, e io le dissi che avevamo sentito, per quanto in modo piuttosto vago, che si pensava che la casa fosse stregata, e le chiesi di rivelarcene la ragione. Ecco che cosa mi disse:
«“Nell’anno 1610 l’erede della proprietà era Helen Denison, una ragazza promessa sposa del giovane Lord Southern. Proprio per questo, se Helen avesse avuto dei figli, la proprietà sarebbe stata sottratta ai Denison. In caso fosse morta senza averne, sarebbe passata al suo primo cugino. Una settimana prima del matrimonio, questo cugino e un suo fratello, venuti qui a cavallo da trenta miglia di distanza, entrarono in casa dopo il tramonto e si diressero verso la stanza di Helen al secondo piano. Qui la soffocarono e tentarono di ucciderla, ma lei riuscì a fuggire brancolando nel buio in questo corridoio, e si rifugiò nella stanza al termine della galleria. I due la raggiunsero là e la uccisero. Questi fatti vennero conosciuti durante il processo, dopo la piena confessione del fratello minore”.
«Mrs. Denison mi disse appunto che il fantasma non era mai stato visto, ma che di tanto in tanto lo si sentiva scendere le scale o percorrere il corridoio. Mi disse che non lo si sentiva mai, se non fra le due e le tre del mattino, l’ora in cui aveva avuto luogo l’assassinio».
«E dopo di allora l’avete sentito di nuovo?», chiesi.
«Sì, più di una volta. Ma non mi ha spaventato più. Come tutti, io ho temuto ciò che mi era ignoto.
«Ho la sensazione che dovrei temere anche ciò che mi è noto, se fosse questo genere di cose», dissi.
«Penso che non ne avreste paura a lungo. Qualunque sia la vostra teoria su di esso, sul rumore dei passi e la mano che brancola, non riesco a capire che cosa vi possa essere di inquietante o spaventoso. La mia teoria la conoscete…».
«Per cortesia, applicatela a ciò che vi è stato raccontato», la pregai.
«Semplicissimo. La povera ragazza percorreva questo corridoio, disperata e in agonia per il terrore, e indubbiamente, mentre procedeva a tentoni cercando scampo, sentiva dietro di sé i passi leggeri degli assassini che guadagnavano terreno. Le onde mentali di quella tremenda agitazione che si scatenò in lei si sono impresse sul posto, in modo sottile e tuttavia fisico. È solo grazie a quelle persone chiamate sensitivi – e non in tutti i casi – che, per così dire, riusciamo a percepire le tracce lasciate sulla sabbia dalle onde che si infrangono. Ma le onde sono là, ci sono sempre anche quando sta funzionando una radio, sebbene possano essere percepite solo da un ricevitore correttamente sintonizzato. Se voi prestate fede all’esistenza delle onde mentali, la spiegazione non è così difficile».
«Dunque un’onda mentale è permanente?».
«Ogni onda di qualunque tipo lascia un’impronta, non è così? Se voi non credete a tutto ciò, volete che vi assegni una camera lungo il percorso di quella povera, inerme vagabonda assassinata?».
Mi alzai.
«Grazie, sto benissimo dove mi trovo», dissi.
Traduzione di Michele Curatolo