Giuseppe Ciarallo – Saggezza popolare

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1929

Gironzolando pigramente per il centro, un sabato mattina incomprensibilmente assolato per la stagione, il geometra Persichetti, impeccabile nel suo vestito su misura, riconobbe sul marciapiede opposto al suo la sagoma di una persona che dandogli le spalle osservava la vetrina di un negozio.

«Gesummìo! Il ragionier Oreste Acerbi, l’uomo che parla per proverbi! Speriamo non mi veda altrimenti sarò costretto…» e accelerò il passo per sfuggire a quell’inatteso incontro.
«Persichetti… Geometra Persichetti!».

A quel temuto richiamo si irrigidì. L’essere più noioso del mondo lo aveva individuato e ora lo stava chiamando a gran voce. Sfoderò un sorriso che qualsiasi persona normale avrebbe indovinato essere finto, mostrò, con poca maestria, un’espressione di piacevole sorpresa e tese la mano per il cordiale saluto di circostanza.
«Ragionier Acerbi… che piacere!».
«Eh, caro Persichetti. Chi non muore si rivede!».

Ecco, ci siamo, pensò con fastidio il geometra Persichetti, ricordando desolato che il suo interlocutore oltre che parlar per modi di dire, aveva pure l’orrenda abitudine di cominciare le frasi ripetendo parte delle domande altrui.

«Allora, ragioniere, in effetti è un pezzo che non ci si vede. E mi dica… come sta?».
«Come sto? Bene perbacco! La salute è l’unica cosa che non mi manca affatto! Questo grazie alla mia robusta costituzione. Modestia a parte, sono ancora una vecchia roccia. Come lei ben sa… la salute non s’acquista con l’andar dal farmacista».

Il geometra Persichetti, abbattuto nello spirito da quella prima ondata di luoghi comuni che lo aveva investito in pieno, cercò di buttarla sul ridere.
«Certo, la costituzione. Bisogna stare attenti, però, perché questo governo sta facendo di tutto per modificarla, la Costituzione».
«…???…».

Capì di aver fallito il tentativo; del resto, pretendere acume da una mente così schematica significava solo perder del tempo.
«E mi dica… la sua signora come sta?».
«La mia signora? Oh! Lei sta bene, anche se non si è mai abituata ai ritmi di questa nostra grande città. Me lo diceva sempre mio nonno… Mogli e buoi dei paesi tuoi!».
«Perché, sua moglie dove…».

«Eh, lei è piemontese. E come è noto, i piemontesi sono falsi e cortesi. Di Milano sembrava apprezzare tutte le infinite possibilità che offre, ma da qualche tempo è diventata sempre più insistente nel voler tornare alle sue, come dice lei, amate Langhe. Ah! Come sono volubili le donne… Donne, vento e fortuna, mutano come la luna! Ma io gliel’ho cantata chiara: sappi, amore mio, che chi volta el cu a Milàn, volta el cu al pan!».

Il discorso stava prendendo una brutta piega. Persichetti  non aveva alcuna voglia di addentrarsi nelle beghe familiari degli altri ben sapendo che sono, o perlomeno possono essere oggetto di ore e ore di inutili ciance. La buttò sui figli sperando di non sollevare un ulteriore vespaio.

«E i suoi due figli, ragioniere, tutto bene?».
«I miei figli? Eh, caro mio… sa come si dice, no? Figli piccoli, fastidi piccoli, figli grandi, fastidi grandi! Essendo oramai tutti e due grandi, capirà… eh! eh! eh! Il maschio, dopo due anni di università presso la facoltà di Economia e Commercio, di colpo scopre un viscerale amore per le materie umanistiche e se ne viene con la bella pensata di ricominciare da capo iscrivendosi a Lettere moderne.

E io: Figliolo ricorda, chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non sa quel che trova. Ma lui niente! Più cocciuto di un mulo. La piccola, invece, continuo a chiamarla la mia piccola ma fra due mesi si sposa, sa? La piccola dicevo, dal giorno in cui è stata fissata la data delle nozze è diventata intrattabile.

Non le va più bene nulla, basta il più sciocco dei pretesti per innescare battibecchi senza fine. D’altronde, cosa vuole, ha proprio ragione l’antica saggezza popolare: figlie da maritare, fastidiose da governare».

Il geometra Persichetti ascoltava, sconsolato, quel profluvio di parole che, a meno di un clamoroso imprevisto, si sarebbe protratto ancora a lungo essendo il ragionier Acerbi noto uccello da rapina, implacabile con le sue prede, che difficilmente mollava prima di averle martoriate col becco adunco e i rostri delle sue squallide ovvietà. Infatti continuò imperterrito nel suo fastidioso lamento.

«In quest’assurda situazione di anarchia, nella gabbia di matti che è diventata la mia casa, io ho perso tutta la mia autorità di capofamiglia, con mia moglie sempre pronta ad accondiscendere a tutte le mattane dei figli. E’ vero che l’uomo che crede di comandare in casa propria è un povero illuso! L’uomo è il capo della famiglia, amico mio , ma la donna è il collo che fa girare il capo!

E questo non lo dico io, mio caro, ma un popolo, quello cinese, che in quanto a saggezza millenaria non è secondo a nessuno. Pensi che…».
«E il lavoro? Come va il lavoro?» troncò netto il geometra Persichetti temendo che l’argomento famiglia potesse rivelarsi un barile senza fondo.

«Il lavoro, dice? Eh, il lavoro è la mia unica soddisfazione. Lavorando non s’invecchia! E poi… come diceva quel noto drammaturgo americano di cui non ricordo mai il nome… Il lavoro è una droga che sembra una medicina. Pensi all’assurdità del mondo moderno.

I giovani d’oggi passano un sacco di tempo a lamentarsi della mancanza di lavoro e il resto della vita a lagnarsi del lavoro che hanno trovato. Ma non pensano che… giovane ozioso, vecchio bisognoso.

E poi, non ricordo dove l’ho letta, ma una frase mi ha colpito per la sua semplice verità: Il lavoro rende liberi!».
Il geometra Persichetti sgranò gli occhi, un brivido percorse per intero la sua spina dorsale e per un istante pensò con sgomento che la più infausta delle bugie, proprio per il luogo dove veniva esibita, quel tristemente famoso Arbeit macht frei, era diventata nella mente bacata del ragionier Acerbi una frasetta fatta, una piacevole citazione, un condivisibile e saggio proverbio da incasellare tra chi rompe paga e i cocci sono i suoi e gallina vecchia fa buon brodo.

Decise che la misura era colma e cercò in tutti i modi di scaricare il non oltre tollerabile conoscente.
Con fare nervoso guardò l’orologio e finse di ricordare un impegno da onorare da lì a qualche minuto.

«Mi dispiace, ragionier Acerbi, ma si è fatto tardi e mi è venuto in mente che ho un appuntamento improcrastinabile. Devo proprio scappare…».
«Ma dove corre, geometra? Ricordi… la fretta corre incontro alla disgrazia!».
Il geometra Persichetti faticò a contenere lo sbotto che quell’infelice uscita avrebbe in altra occasione meritato; evitò persino di toccarsi e tagliò corto coi saluti finali.

«… mi saluti la sua signora, tante belle cose per la nuova carriera universitaria di suo figlio e soprattutto auguro tanta felicità alla futura sposa. Mi stia bene, ragioniere, si conservi!».
«La saluto anch’io mio caro, e auguro a lei e alla sua famiglia un futuro di serenità» e aggiunse, apprestandosi ad attraversare la via, ancora rivolto al geometra Persichetti: «E ricordi quel che diceva il Magnifico Lorenzo: Chi vuol esser lieto, sia; di doman non c’è certez…».

Lo schianto fu terribile. Il geometra Persichetti, voltando lo sguardo, attirato dal fragoroso botto, vide il corpo del conoscente giacere a terra in una pozza di sangue. Poco più in là, in momentaneo letargo, sostava la sagoma di un filobus 92 barrato.
Il geometra Persichetti, con un sorriso ambiguo dipinto sul volto, non poté far altro che constatare:

«E’ proprio vero, ragioniere… la vita dell’uom su questa terra, altro non è che una continua guerra» e riprendendo il suo cammino, assorto continuò «o forse, in un’occasione come questa è più consono: La morte vien quando men s’aspetta! o anche  La morte guarisce tutti i mali! no, no, meglio… La morte è una cosa che non si può far due volte…».

FINE

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Giuseppe Ciarallo, molisano di origine, è nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato tre raccolte di short-stories, "Racconti per sax tenore" (Tranchida, 1994), "Amori a serramanico" (Tranchida, 1999), "Le spade non bastano mai" (PaginaUno, 2016) e un poemetto di satira politica dal titolo "DanteSka Apocrifunk – HIP HOPera in sette canti" (PaginaUno, 2011); ha inoltre partecipato con suoi racconti ai libri collettivi "Sorci verdi – Storie di ordinario leghismo" (Alegre, 2011), "Lavoro Vivo" (Alegre, 2012), "Festa d’aprile" (Tempesta Editore, 2015); suoi componimenti sono inclusi in varie raccolte antologiche di poesia: "Carovana dei versi – poesia in azione" 2009, 2011 e 2013 (Ed. abrigliasciolta), "Aloud – Il fenomeno performativo della parola in azione" (Ed. abrigliasciolta, 2016), "Parole sante – versi per una metamorfosi" (Ed. Kurumuny, 2016), "Parole sante – ùmide ampate t’aria" (Ed. Kurumuny, 2017). Scrive di letteratura e non solo su PaginaUno e Inkroci, collabora con A-Rivista anarchica e Buduàr, rivista on line di umorismo e satira. Fa parte del collettivo di redazione di "Letteraria/Nuova Rivista Letteraria" e "Zona Letteraria – Studi e prove di letteratura sociale" fin dalla fondazione.

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