Nel salone ovattato di velluti scarlatti e boiserie dorate, sotto il soffitto affrescato con scene di trionfo e sottomissione, la Presidente Florinda Laiden e il Consigliere Dino Mazza sedevano una di fronte all’altro. Un tavolo di mogano massiccio, lucido come la coscienza dei profittatori, li separava.
Florinda tamburellava le dita affusolate su un fascicolo chiuso davanti a sé. Gli occhi glaciali, due lame di ghiaccio, squadravano Dino con il distacco tipico di chi non si abbassa alla vanità dell’empatia. «I numeri non tornano, Dino» esordì con voce ferma, misurata come il battito di un orologio che segna il tempo delle catastrofi. «La propaganda ha spinto al massimo, eppure la massa resiste. Si ostinano a credere nel mito della pace».
Dino aggiustò il polsino della camicia con un gesto nervoso. L’aria pesava come piombo. Lui, stratega delle austerità, maestro nell’arte di trasformare la miseria in ordine imposto, sapeva bene che cosa poteva significare un’Europa riottosa. «Il problema, Florinda, è che abbiamo sottovalutato il loro istinto di sopravvivenza. Credono ancora che il benessere sia un diritto, non un privilegio concesso dal sistema. Abbiamo fornito le narrazioni, abbiamo fornito i capri espiatori, costruendo le giuste immagini dei nemici da odiare… eppure si ostinano. Parlano di diplomazia, di negoziati. Sono ciechi, sordi, ottusi. E, soprattutto, non sanno stare al loro posto».
Florinda sospirò, lasciando scorrere le dita sul dorso del fascicolo. «Allora bisogna chiudere il discorso. Definire il pacifismo per quello che è: sabotaggio. Disfattismo. Tradimento». Sollevò lo sguardo, un lampo di gelo negli occhi. «E agire di conseguenza».
Dino sorrise appena: un ghigno tirato, una smorfia più di consapevolezza che di soddisfazione. «Dobbiamo essere pronti alla fase successiva. Abbiamo i mezzi. Le piattaforme sono sotto controllo, gli organi di stampa pure. Ma servono misure più incisive, più drastiche».
Florinda annuì. «Dobbiamo rendere il pacifismo un’eresia, un marchio d’infamia. I riottosi vanno smascherati, isolati. Se la propaganda non basta, se la narrazione non li spezza…». La sua voce si fece più dura. «Li spezzeremo in altri modi».
Dino tamburellò con le dita sulla superficie lucida del tavolo. Il rumore era simile a un rintocco funebre. «Ci saranno resistenze».
«Le supereremo. I governi sono con noi, i parlamentari sono con noi. I pochi che dissentono si adegueranno, o spariranno dalla scena politica». Florinda si sporse in avanti, quasi sussurrando. «Abbiamo la formula per controllare il dissenso. La paura. La paura è sempre stata il nostro strumento più efficace. Dobbiamo solo trasformarla in terrore. A costo di scatenare noi stessi un attacco contro l’Europa. Dopo, i dissidenti saranno minoranza. E non avranno più alcun peso. Verranno sconfitti dalla condanna unanime. E dalla delazione».
Un silenzio pesante cadde sulla stanza. Fuori, attraverso le vetrate, la città brillava di luci artificiali. Dentro, due figure pianificavano il futuro. Un futuro di repressione, di cancellazione del dissenso.
Dino Mazza inspirò lentamente. «Dunque procediamo?».
Florinda Laiden si alzò in piedi, allungando la mano verso il fascicolo. Lo aprì. Pagine fitte di nomi, strategie, proiezioni. Il destino di milioni si decideva lì, su quelle righe nere e perfette.
«Procediamo».