Gloriana Orlando – La stessa guerra

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È un giorno come tanti, in cui ognuno di noi è preso dai propri pensieri: incontrandoci ci scambiamo le solite parole frettolose, i vecchi siedono davanti alle case ricordando il passato con occhi lacrimosi, i bambini giocano alla guerra con spade di legno.
D’improvviso un sibilo lacera l’aria, per la città corre un grido di morte. E niente più sarà come prima. Niente sarà più.
Un lembo di terra conteso. Ieri si condivideva il vino, oggi si uccide il vicino senza pietà. Ci univano lingua, tradizioni, arte, cultura, ma oggi tutto questo non conta più. 
Anche il fratello può tramutarsi in un nemico. Questa è la guerra.
Nelle case, riuniti davanti al fuoco, ci interroghiamo su quanto sta accadendo.
«È una cosa tremenda, madre mia, la discordia tra i fratelli».
«Figlio, sai bene che se io ti chiedessi se vuoi governare o salvare la città, risponderesti che vuoi governare».
«Il potere, madre, non voglio cederlo a nessun altro, voglio tenerlo per me. Inoltre sarebbe una vergogna se quest’uomo, che è venuto in armi per devastare la nostra terra, la sua stessa terra, ottenesse ciò che vuole». 
«È così difficile la pace… Fermatevi finché siete in tempo. Ascoltami, figlio, è una maledizione piovuta dal cielo, si uccideranno l’un l’altro, moriranno e la polvere berrà il loro sangue in neri grumi. Quale mano pietosa comporrà i cadaveri, scegliendo fra assalitori e assaliti che giacciono vicini, uniti da un’unica morte?».
Nessuno vuole dare ascolto alla saggezza dei vecchi che, con voce stanca, cercano di dissuaderli. Ben presto quello che avevano paventato si avvera. Colonne di nemici in armi si avvicinano alla città, chi cerca di fermarli va incontro a morte sicura, si combatte corpo a corpo, per difendersi o per aggredire. E non si stancano di ripetere: «Non vi accorgete che tutti sono diventati spietati? Si sono macchiati di crudeltà indicibili, la guerra trasforma anche gli uomini più miti. Chi potrà lavare ogni macchia da quei corpi?».
Intanto sul campo, cessata la battaglia, restano solo donne che piangono i fratelli, ne abbracciano il corpo martoriato, invocano un dio sordo alle preghiere dei vincitori.
Un cadavere è rimasto abbandonato agli avvoltoi che lo guardano dall’alto in cerca di cibo, con desiderio, mentre continuano a roteare su di lui avvicinandosi sempre più. Il fratello invece, contro cui ha combattuto, è stato seppellito con onori e preghiere.
Come il lamento desolato di un uccello che vede il nido vuoto dei suoi piccoli, il pianto solitario di una povera vecchia, unica sopravvissuta di una grande famiglia, non raggiunge il cielo, sordo alle preghiere dei vinti. Invano leva in alto le mani per accompagnare il suo grido di dolore.
«Era un fratello quello che ha assalito la nostra città, ha assoldato eserciti per portare morte e distruzione tra i suoi cittadini inermi. Adesso le fiamme stanno divorando ogni cosa, chi riesce a fuggire, pur di mettersi in salvo, abbandona tutto quello che ha». 
Donne lacere, coperte dalla cenere dell’incendio che ha distrutto le loro case, avanzano tra le macerie tentando di darsi conforto a vicenda. Un coro di voci disperate si spande tra le rovine.
«Povere case, che voi avete raso al suolo nel sogno di un’amara conquista! E voi, che avete scagliato maledizioni chiedendo una pena di sangue, morte contro morte, quando sarete paghi? Col ferro alfine firmerete la vostra pace?».
«Un brivido di terrore mi prende davanti a chi distrugge le nostre case. La morte piove dal cielo, con un rombo assordante».
«C’è qualcosa per me che non sia motivo di pianto? La mia patria, i miei figli, il mio sposo… tutto, tutto è scomparso».
«Madre, perché continui i pianti e i lamenti sul padre morto e sulla patria amata? Chi ragiona, la guerra la deve fuggire… solo un essere irragionevole può averla scatenata. Ma una volta che si è arrivati a questo punto, non è giusto fermarsi; una fine gloriosa è premio non da poco per una città, mentre è ignobile una fine senza gloria: significherebbe che il sacrificio dei nostri soldati è stato vano». 
«Che senso ha continuare a combattere? Speravo che tu fossi tornato per restare, per dare un po’ di conforto alla mia vecchiaia, e invece mi parli ancora di gloria, adesso che la nostra città non esiste più. Avvolti dal fuoco sono crollati i palazzi, tutto si dilegua come fumo al vento. E tu mi lasci per tornare ad uccidere».
Un sibilo lacera l’aria, per ogni dove corre un grido di morte. Teneri bimbi tendono alle madri le braccia atterrite, stretti alle loro vesti: non ci sarà alcuna pietà, nemmeno per loro. 
Continui lamenti percorrono la città: piangono le case, piange la pianura, così benigna ai suoi uomini.
«Questa è la ricchezza che resta agli eredi, per questa eredità avete affrontato un destino crudele, portando morte e distruzione? Combattete per strappare la terra al nemico, ma col cuore rabbioso avete ridotto questa terra a un cumulo di cenere e adesso restano solo corpi straziati e campi bruciati… Questa è l’eredità che lascerete, e chiunque ne esca vincitore avrà combattuto per strappare al fratello campi bruciati, città devastate».
Ormai sola, la povera vecchia, seduta su una pietra davanti alla porta divelta, unico resto utilizzabile della sua casa, si nasconde la testa tra le braccia: «Ho udito il tuono della tempesta rovinosa di pietre. Vedo il rumore. Lo vedo, si diffonde un rimbombo, simile a quelli di un torrente impetuoso, la terra trema, come sotto il galoppo di cento cavalli, la polvere si alza fino al cielo e la pianura risuona. O Dio, allontana da noi questo flagello incombente. Salvaci dalla conquista e dal nemico. Liberaci dal terrore. Fai tacere le armi». 
Una mano pietosa l’aiuta ad alzarsi. «Vieni, che senso ha rimanere qui?».
«Non voglio lasciare la mia casa, è tutto quello che mi resta».
«Neanche questa ti rimane ormai, vieni con me, uniamoci alle altre donne». 
«Questo rumore mi dilania le orecchie».
«È il lamento della città distrutta. È il pianto che sale dalla terra».
«Cerchiamo rifugio altrove, per noi donne non rimane che la fuga. Dobbiamo lasciare la nostra terra per cercare salvezza per noi e per i nostri figli. Speriamo che qualche paese generoso ci accolga…».

La guerra è sempre la stessa. Ieri combattevamo con la clava per conquistare un terreno di caccia migliore e, alla fine, i pochi sopravvissuti combatteranno con la clava per un lembo di terra devastata dall’ultima bomba.


N.B.
Le descrizioni delle atrocità della guerra sono ricavate da Sette contro Tebe di Eschilo, Antigone di Sofocle, Le Troiane e Le Fenicie di Euripide.

È sempre la stessa la guerra

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Gloriana Orlando ha insegnato per diversi anni “Materie Letterarie e Latino” nei licei di Catania, sua città natale, dove tuttora vive; adesso si dedica a tempo pieno alla scrittura, collaborando con alcune riviste culturali. Ha pubblicato una decina di romanzi, tra cui “Profumo di papaveri”, tradotto in rumeno, “Quizás quizás quizás. Un romanzo epistolare”, “Alienor, facebook ergo sum” sul mondo della comunicazione virtuale, “E noi sull’illusione...”, un giallo psicologico, “Il filo del tempo”, con cui ha vinto il Premio Internazionale Nino Martoglio, “Un inconfessabile segreto”. Numerosi racconti sono entrati a far parte di importanti antologie tra cui “Saluti a Dickens”, pubblicato in tre lingue, inglese, italiano e bulgaro dalla casa Editrice Scalino di Sofia. Tra i numerosi saggi pubblicati, “La ricerca di una via d’uscita dallo sgomento di vivere” ha partecipato al Premio Letterario Nazionale Sebastiano Addamo. Il saggio su De Roberto dal titolo “Dalla Beata Ximena a don Blasco. Figure di religiosi ne ‘I vicerè’ è stato inserito nel IV volume di un’antologia della critica dal titolo “Letteratura e Sacro”, edito da Bastogi Libri. Nel V volume della stessa antologia è stato inserito il saggio dal titolo “Italo Calvino: il ‘broglio metafisico’ di uno scrutatore”. Dallo spagnolo ha tradotto “Libro de los regresos” di Daniel Salguero Díaz, “Un regalo de Navidad rojo” di Reynold Pérez Vásquez.

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