Il saggio di Stefano Tevini è un contributo significativo alla comprensione delle connessioni tra letteratura e ideologia, specialmente in un campo inquietante come quello del suprematismo bianco. White Power ci mostra come la letteratura possa divenire non solo il riflesso convulso di un’ideologia violenta e razzista, ma anche un manuale d’azione per cellule e gruppi terroristici, facendo emergere con chiarezza il potenziale distruttivo di certi testi che si celano dietro l’alibi di opere di “fantascienza distopica”.
Il lavoro inizia collegando il fascismo e l’ideologia del suprematismo bianco alla letteratura, attraverso la lente deformante di opere come The Turner Diaries di William Luther Pierce (l’unica fra quella analizzate pubblicata anche in Italia). Questo romanzo, formalmente classificato come fantascientifico, è diventato una sorta di manuale per estremisti. Uno dei punti centrali del saggio di Tevini è la dimostrazione documentata del legame tra narrativa e azioni estremiste reali, come l’attentato di Oklahoma City e il massacro di Utoya. L’autore sottolinea come tali romanzi non siano solo esercizi letterari, ma veri e propri strumenti di propaganda fascista, capaci di diffondere odio e paura. Il suprematismo bianco, infatti, è presentato come una desiderabilissima utopia, l’unica via per preservare un ideale di purezza della razza. Questo contribuisce a costruire un immaginario violento che offre ai “lupi solitari” – figure isolate ma mai del tutto scollegate tra loro – il collante per compiere atti estremisti dagli esiti letali.
Tevini si immerge e ci immerge nelle fondamenta dell’odio razziale, che attraversa confini e culture, dimostrando come l’ideologia del suprematismo bianco non sia confinata agli Stati Uniti, ma proliferi anche in Europa e in altre parti del mondo.
Il saggio è indubbiamente coraggioso, sia per la sua profondità, sia per la tematica trattata, e affrontata con rigore accademico un campo troppo spesso ignorato dalla critica letteraria e dai media, ponendo in luce come il razzismo più retrivo possa essere veicolato attraverso la narrativa. Né l’autore si limita a denunciarne l’esistenza, ma analizza nel dettaglio le dinamiche che li rendono strumenti potenti di radicalizzazione. In questo, la sua riflessione è particolarmente efficace nel descrivere l’evoluzione di queste ideologie, dal Vietnam ai giorni nostri, mettendo in risalto come eventi politici e sociali recenti, quali la presidenza di Donald Trump, abbiano contribuito a riportarle in superficie. Il riferimento alla Great Replacement Theory, che alimenta la paura di un rimpiazzo razziale, è un punto chiave per comprendere come la narrativa razzista si adatti alle tensioni moderne, sfruttando crisi come l’immigrazione o la minaccia terroristica.
L’analisi messa in atto da Stefano Tevini è una vera e propria indagine sociopolitica, e ci mostra come il successo di queste opere sia dovuto non soltanto alla loro diffusione massiccia, ma anche alla loro capacità di legarsi a contesti concreti di insoddisfazione e disillusione.
Un limite del saggio è l’approccio molto focalizzato sulla dimensione statunitense, nonostante si accenni alla diffusione globale del fenomeno. Sarebbe stato interessante un approfondimento sul contesto europeo, soprattutto alla luce dei movimenti di estrema destra che stanno conquistando l’itero continente, inclusa l’Italia. Ma ciò non impedisce al lettore attento all’attualità di cogliere i nessi evidenti con la nostra realtà.
White Power è un’opera necessaria e illuminante, che tratta con grande competenza un tema complesso e delicato, facendo emergere come la parola scritta possa essere un potente strumento di propaganda. Peccato che la lezione sia stata compresa solo dall’ala nera della politica.