Daniele Olivari – Barolo Boys

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Bruno entrò nella stanza, una cantina d’altri tempi.
Giuseppe era lì, seduto. Non si mosse.
Bruno andò al tavolo, prese posto. Bottiglie, calici. Tutto pronto. «Beppe».
Un cenno della testa, un tappo cavato. Silenzio.
Un sorso. Naso, lingua, palato. Un viaggio. Freschezza, sale, lunghezza. Equilibrio e profondità: perfettamente armonico
Bruno ruppe il silenzio: «Bel vino. Sempre ammirato il tuo lavoro. Cura per la terra, meticolosità. Siamo diversi».
Giuseppe roteava il calice, lo sguardo basso.
Bruno continuò: «Ora capisco. Sei sempre stato avanti. Io… io no. Hai fatto bene. Sei il migliore».
Giuseppe alzò lo sguardo, fermo. «Non sono il migliore. Ho solo creduto nella terra. Niente scorciatoie, niente mode. Nebbiolo puro, punto e basta». Le mani callose stringevano il calice come fosse un giocattolo. «Tu, invece… ti sei perso dietro le barrique. Quelle mode da strapazzo. E ora? Vino moscio che nessuno vuole. Barolo Boys, caduti come pere cotte. Sai cosa? Le barrique, lasciale ai francesi. Qui, uva sana e botte grande».
Bruno annuì, abbassò lo sguardo. Un sorriso stanco, quasi amaro. «Hai ragione. Lo sapevi. Lo sapevi già. Per questo sono qui. Aiutami, Beppe. Voglio tornare langhetto. Voglio che il mio Perno sia di nuovo Barolo, quello vero».
Giuseppe restò immobile, poi: «Sai già cosa fare. Torna a casa e mettiti al lavoro».
«No». Bruno scosse la testa. «Sono qui perché tu sei il migliore. Voglio imparare da te. Voglio superarti».
Giuseppe smise di roteare il calice, lo posò. «Hai ancora la cantina piena di vino inutile e vieni qui, a chiedermi di condividere il lavoro di una vita. Per fare un vino migliore del mio. Perché mai dovrei accontentarti?».
Bruno lo fissò. «Perché non ti importa del giudizio altrui. Perché vuoi il meglio per la nostra terra. Io posso fare la mia parte. Insieme possiamo portare il Barolo là dove merita».
Giuseppe lo guardò a lungo, poi sbatté una mano sul tavolo. «Alan!».
La porta si aprì. Un ragazzo, alto, smunto, entrò.
Giuseppe lo indicò. «Lui ti aiuterà».
Bruno lo squadrò. «Un ragazzino? E che razza di nome è Alan?».
Giuseppe incrociò le braccia. «Suo padre è americano. Sta con me da tre anni. Ha talento. Ha passione. Diventerà un grande barolista».
Bruno smorfiò un ghigno. «Io mi umilio, e tu mi dai un moccioso straniero?».
Giuseppe lo fissò, imperturbabile. «Libero di andare».
Alan avanzò di un passo. Voce ferma, occhi fissi: «Signore, sarò americano, ma il Barolo lo so fare. Ora, possiamo iniziare?». Aprì la porta, restò lì ad aspettare.
Giuseppe si alzò, fece un cenno di saluto e uscì. Il ragazzo lo seguì.
Bruno restò solo. Interdetto. Prese il calice, chiuse gli occhi, bevve.

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