Con Il Castellaccio, Stefano Testa ci consegna un’opera che arttraversa i confini tra il romanzo gotico e la riflessione esistenziale. Il paesaggio degli Appennini diventa il palcoscenico per una vicenda sospesa tra passato e presente, realtà e magia, che si svolge in un’atmosfera crepuscolare. L’autore si muove con sapienza nel solco della tradizione narrativa italiana, evocando l’eco di Buzzati e di Calvino, ma con una voce autonoma e nitida, assolutamente personale.
Il romanzo si apre con una scena magistrale che richiama i riti arcaici e gli archetipi del magico: il mago Amato, figura chiave, incarna il legame spezzato tra l’uomo e il mistero, in un mondo nel quale la razionalità sembra aver esiliato ogni incanto. Questo filo rosso di magia perduta accompagna l’intera narrazione, intrecciandosi alle vicende di Elia, del professor Moroni – un antropologo affascinato dai riti del passato – e della giovane Gaia, enigmatica e sfuggente. Attraverso il protagonista, Elia, un uomo segnato dal fallimento e dalla solitudine, Testa esplora il rapporto tormentato tra l’uomo moderno e il suo passato, in una cornice che alterna momenti di lirismo a episodi di tagliente tragicità.
Uno dei maggiori meriti del Castellaccio è la sua prosa, intrisa di descrizioni evocative che conferiscono al paesaggio una presenza quasi animata. L’Appennino non è solo un luogo fisico, ma una metafora vivente del confronto tra il decadimento e la resistenza della memoria, dalle mura avvolte dall’edera del Castellaccio alle giornate scandite dal silenzio della vita di paese. L’altro fulcro del romanzo è il dialogo, che Testa riesce a rendere spontaneo e intellettualmente stimolante, senza mai cedere al didascalico. E, attraverso le conversazioni tra Elia e il professor Moroni, emerge un’indagine filosofica sulla morte, sulla bellezza e sull’inesorabile passaggio del tempo.
Nonostante la profondità dei temi trattati, Stefano Testa non rinuncia a un’ironia sottile e a un senso dell’umorismo che bilanciano i toni più cupi, rendendo l’esperienza di lettura più ricca e sfaccettata. La figura grottesca del commendatore Costa, con il suo egoismo caricaturale, o le osservazioni sagaci sulla vita di paese aggiungono sprazzi di leggerezza.
Un romanzo che, dietro l’apparenza di una storia semplice, nasconde una complessità emotiva e tematica che lo rende una lettura densa e significativa, confermando il suo autore come una voce originale, capace di guardare al passato con nostalgia, ma anche con sguardo critico e contemporaneo.