Ciampi è una gran bella penna ed è capace come pochi di scandagliare l’animo umano, o di una città, nei suoi più reconditi anfratti.
In Il babbo di Pinocchio il protagonista, l’autore stesso, incontra o sogna d’incontrare nella magica sera di San Lorenzo, il 10 agosto, Carlo Lorenzini “per tutti Collodi”, e con lui si aggira fino all’alba per le vie e le piazze di una Firenze incantata, sospesa tra passato e presente.
A punteggiare i tanti luoghi visitati, la biografia dello scrittore padre del noto burattino, fatta di ardori giovanili rivoluzionari e successive disillusioni, di amore per il gioco e di frequentazioni di strozzini e donne “dai facili costumi”, come si sarebbe detto un tempo. In ogni pagina la presenza di Pinocchio, di Geppetto, della fata Turchina e dei tanti altri personaggi del romanzo, che, con le loro parole e i loro gesti, escono dalla fiaba per diventare le parole e i gesti di cui sono fatte le nostre vite.
E poi c’è Firenze, città, mamma, compagna di sbronze notturne, amica con cui scambiare pettegolezzi e battute al vetriolo, così stupendamente descritta da Paolo Ciampi: La mia città: turpiloquio e Dolce stil novo. Di sicuro tempio dello scetticismo, che se non altro aiuta a non tagliare con l’accetta il bene e il male.
Da leggere. Assolutamente.