San Babila ore 20: un delitto inutile (1976)

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Carlo Lizzani (1922-2013) è un regista che non ha mai fatto mistero del prorpio schieramento politico, ma al tempo stesso ha sempre impostato le sue pellicole con un preciso taglio storico e documentaristico. Ricordiamo un intenso Mussolini ultimo atto (1974), ma anche un ottimo Banditi a Milano (1968), per finire con film tratti da opere letterarie come Fontamara (1980) e La vita agra (1964). Non sono che pochi esempi di una produzione variegata da sceneggiatore e regista che spesso risente di una realizzazione a progetto, seguendo tesi preconfezionate, che, se non giova alla spontaneità, serve comunque a rendere il suo lavoro rigoroso, quindi prezioso da un punto di vista storico.

San Babila ore 20: un delitto inutile (titolo interminabile, come andava di moda nel periodo), è un lavoro più importante come memoria di un periodo storico, che vede scontri tra gruppi giovanili di estrema destra e sinistra, che come fiction, abbastanza datato e legato alla temperie culturale degli anni Settanta.

Un fatto di cronaca accaduto nel 1975, a Piazza San Babila – covo della destra giovanile che sfoggia occhiali da sole e giubbotti di pelle mentre i ragazzi di sinistra vestono eskimo e Clark -, sta alla base del film, che Lizzani sceneggia insieme a Pirro e Giarda, con la collaborazione di Claudio Lazzaro per la documentazione storica. Il film ricostruisce l’uccisione di Alberto Brasili, massacrato da un gruppo di fascisti, senza ricorrere ad attori famosi per dare più importanza ai fatti che alle interpretazioni. Lizzani cerca la veridicità fine a se stessa, raccontando un fatto di cronaca nudo e crudo, in maniera quasi neorealista, pedinando – secondo la lezione di Zavattini – una giornata di un gruppo neofascista milanese.

Tra i tanti attori sconosciuti, selezionati dopo molti provini, il più noto è Pietro Brambilla, nipote di Ugo Tognazzi, interprete -sempre in quel periodo- de La casa dalle finestre che ridono e Bordella di Pupi Avati.

San Babila ore 20: un delitto inutile passa spesso in televisione, anche sui canali Sky, ma viene quasi sempre presentato in versione non integrale, senza una sequenza dove i fascisti marciano scandendo il passo dell’oca e privo di alcune scene violente, come un pestaggio a sangue davanti a un sacerdote inerme.

Il neorealismo è notevole durante gli scioperi e le manifestazioni politiche, perché niente è costruito, tutto è prelevato dalla realtà, con gli attori che si uniscono ai cortei e alle dimostrazioni. Lizzani gira intere scene con la macchina da presa nascosta dentro un furgone e riesce a catturare vere sequenze di scontri tra opposte fazioni e di cariche della polizia per disperdere i facinorosi.

San Babila non è un film risolto da un punto di vista cinematografico, risente di una quasi assoluta mancanza di trama e di una sceneggiatura che pare improvvisata, basata sulle bravate dei ragazzi di destra e sugli scontri generazionali in famiglia, fino a un orribile finale che mette in scena il massacro. Resta un valido documento storico del periodo, più di tanti libri e articoli di giornale, perché Lizzani – uomo di sinistra – riesce a calarsi bene nella mentalità dei giovani neofascisti e a fotografare ogni loro azione nefasta in modo impersonale, senza giudicare, ma facendo coincidere la propria opinione con quella dello spettatore sconvolto da tanta violenza e stupidità gratuita. Piace senza mezzi termini alla critica più schierata, a chi pretende da un’opera d’arte una posizione politica ben definita e un realismo estremo: forse per questo viene osannato al Festival di Mosca.

Inutile raccontare la trama, che si svolge nell’arco di una sola giornata, e racconta la vita di quattro balordi neofascisti, partendo da un incipit politico come il funerale di un vecchio gerarca fascista. Molte le scene violente e assurde, dal danneggiamento dei motorini degli studenti del Beccaria al tema ideologico composto in classe, passando per la ragazza convinta a far l’amore con il giovane più vigliacco del gruppo e al progettato attentato alla sede di un sindacato.

Ci sono anche gli scontri in famiglia, ma Lizzani non mostra la stessa pietas di un Bolognini, non è portato per le costruzioni drammatiche, al punto che i rapporti difficili madre-figlio e padre-figlio sono descritti con dialoghi fastidiosi, ai limiti dell’irritante. La famiglia borghese viene messa all’indice, ma soltanto da un punto di vista politico, mentre la crisi dei rapporti interpersonali tra generazioni è narrata con troppo distacco e freddezza per essere efficace.

Finale terribile, quasi sospeso, dopo alcune sequenze di scontri piuttosto credibili, con la banda fascista che accoltella a morte un ragazzo di sinistra dopo averlo inseguito per le strade di Milano. Le porte della galera si aprono per i quattro teppisti, perché la fidanzata della vittima ha riconosciuto gli aggressori e guida la polizia verso la loro cattura.

Alcune sequenze si ricordano per il tono goliardico e surreale, come quando i ragazzi prelevano dei falli di gomma da un sexy shop e si divertono a scandalizzare i passanti. Battuta cult al commissariato: “Una volta dalle finestre volavano sovversivi, ora solo cazzi di gomma”.

L’attore più noto è Walter Valdi, doppiato in meridionale, che regala una rapida apparizione come commissario di polizia. I ragazzi del cast se la cavano abbastanza bene, considerando che non sono professionisti affermati, ma è la scrittura dei dialoghi, pesante e artefatta, che provoca nello spettatore una sensazione di fastidio.

Il modo di narrare ricorda il taglio pasoliniano di molte sceneggiature, prima tra tutte La nebbiosa – inedita nella sua versione originale – che racconta la notte brava di un gruppo di ragazzi milanesi di destra.

Colonna sonora gelida, ricca di sonorità sintetiche composta da Morricone, che dirige le musiche. Fotografia fredda di Pozzi, suono in presa diretta per conferire realismo con i rumori di sottofondo curato dal fonico Pasquadibisceglie. Montaggio sincopato, dai tempi lenti, per conferire ulteriore realismo, realizzato dal diligente Fraticelli. Tecnica di regia sopraffina, con molti piani sequenza e panoramiche, diverse soggettive, moderato uso dello zoom, carrellate incisive che seguono la vita del gruppo di balordi secondo la migliore lezione neorealista.

Un film politico, dal taglio documentaristico, che va accettato per il suo valore intrinseco, conservandolo come memoria di un tempo in cui si uccideva in nome di assurdi ideali. Non è che da allora sia cambiato molto, e forse ci consola scoprire che non sempre il passato è stato migliore del presente.

Regia: Carlo Lizzani. Soggetto: Carlo Lizzani, Mino Giarda. Sceneggiatura: Ugo Pirro, Mino Giarda, Carlo Lizzani. Documentazione e Ricerche: Claudio Lazzaro. Fotografia: Pier Giorgio Pozzi. Montaggio: Franco Fraticelli. Scenografia: Pierluigi Basile. Costumi: Dada Saligeri. Aiuti Regista: Gilberto Squizzato, Daniele Sangiorgi. Delegato alla Produzione: Vincenzo De Leo. Musiche: Ennio Morricone (dirette e composte). Produttori: Adelina Tattilo, Carlo Maietto. Casa di Produzione: P.T.A. spa, realizzata da Carlo Maietto. Organizzazione Generale: Livio Maffei. Operatore alla Macchina: Onofrio Folli. Fonico: Domenico Pasquadibisceglie. Interni: Teatri di Posa Icet De Paolis (Milano). Edizioni Musicali: Interdemos Music. Colore: Telecolor. Pellicola: Kodak – Eastmancolor. Sincronizzazione e Doppiaggio: Cooperativa di lavoro Fono Roma con collaborazione della CD Cooperativa Doppiatori. Interpreti: Pietro Brambilla, Daniele Asti, Giuliano Cesareo, Pietro Giannuso, Brigitte Skay, Grazia Baccari, Gilberto Squizzato, Paola Faloia, Giovanni Lolla, Franco Ferri, Marisella Biancheri, Maddalena Galliani, Graziella Comana, Vittorio Pinelli, Nunzio Caruso, Giorgio Bertoli, Adriana Gilardoni, Rudy Dal Prà, Achille Grioni, Mario Maria Giorgetti, Walter Valdi, Sergio Tardioli, Franca Mantelli, Wilma Casagrande, Claudio lazzaro, Filippo Orsini, Stefano Pandini, Franco Pesante, Alfredo Meneveri, Mario Mercalli, Mario Corbetta, Piera Rossi, Antonio Cascio, Walter Carnevali, Paolo Provenzano, Giovanbattista Gamerro,  Roque Oppedisano, Carlo Gioia, Menegus Wolfango, Antonio Foddis, Armando Piatti. Anno: 1976

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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