La banda del Trucido

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La banda del Trucido (1977) è un film di Stelvio Massi, un esperto del poliziottesco, che si avvale di un soggetto scritto e sceneggiato da Elisa Briganti e Dardano Sacchetti. La fotografia è di Franco Delli Colli, il montaggio di Mauro Bonanni, le scenografie sono di Carlo Leva, i costumi di Silvana Scandariato e Silvio Laurenzi, le musiche dell’ottimo Bruno Canfora. Tomas Milian ha campo libero nei dialoghi, si scrive le battute e diverte nella parte di Monnezza. Luc Merenda è un ordinario commissario Ghini, non al massimo della forma. Altri interpreti: Elio Zamuto (solito delinquente in vesti eleganti ma senza scrupoli), Katia Christine, Corrado Solari, Franco Citti (ottimo delinquente romano violento e amorale), Imma Piro, Mimmo Poli, Nello Pazzafini e Mario Brega (doppiato nei panni del questore).

La banda del Trucido mostra il solito commissario di polizia dai metodi spicci e sbrigativi che osserva poco le regole ma bada al sodo per fermare il crimine. In realtà si tratta di due film che diventano uno, perché la parte dedicata a Monnezza è comica, mentre quella di Merenda è un tentativo di poliziesco serio. Il commissario è Luc Merenda, icona del poliziottesco vero, che lotta contro una pericolosa organizzazione criminale e per puro caso si trova a fianco di Monnezza, un ladruncolo di borgata. Monnezza gestisce una trattoria che si chiama La Pernacchia, è un ladro provetto, ama fare solo lavori puliti, ha un figlio piccolo e una moglie cicciona (detta Moby Dick) che lo aiuta in trattoria e fa la comparsa di improbabili film erotici. Da citare il ruolo di scorreggiona nel film Torna a casa Spermula che sin dal titolo è tutto un programma. La storia d’azione si limita alla vendetta di Monnezza, che si vede uccidere un amico da un bandito, aiuta il commissario Ghini per catturare un feroce rapinatore e alla fine si tiene il malloppo.

Luc Merenda è subito all’opera per liberare tre persone sequestrate in un appartamento da due criminali, che vengono freddati dopo un’azione diversiva. La scena ricorda troppo un’analoga situazione vista nel precedente Uomini si nasce, poliziotti si muore (1976) di Ruggero Deodato per non essere ispirata a quel film. Si continua con la caccia a un bandito chiamato Antonio Lanza (il pasoliniano Franco Citti) che ha ucciso il capo della squadra antirapina, oltre ad alcune scene che mostrano accoltellamenti e furti non del tutto credibili. Diciamo che anche i dialoghi sono spesso artefatti e certe situazioni paradossali finiscono per infastidire. Citiamo la parte in cui Lanza cattura il commissario e tenta di violentare la sua fidanzata: si cade nel ridicolo con Merenda che, per salvare la compagna, la chiama puttana e poi recita (male) la parte del poliziotto codardo e traditore. Si completa l’opera con Luc Merenda che aggredisce Lanza (nonostante le manette!) e lo mette al tappeto con diversi sganassoni.
Tomas Milian salva il film, perché la parte comica lo vede mattatore insostituibile. Il ristorante La Pernacchia che gestisce è una sorta di comica La Parolaccia. Due ricchi borghesi milanesi si accorgono subito del vento che tira, accolti da Monnezza: “’A brutto stronzo! Pirla ce sarai te e quella brutta zozza de’ tu’ moije!”. Quando i due avventori, scandalizzati, se ne vorrebbero andare, spiega che le parolacce sono attrazioni turistiche e che le dice per far venire la clientela. C’è pure una critica antiborghese nel dialogo con i due milanesi, con Monnezza che – rivolto al figlio – dice: “So’ ricchi e so’ puliti ma quando cagano puzzano come noi”. Monnezza fa pure il ladro ma non gli piace sparare, lavora pulito, per questo insegna come si ruba senza fare del male in un’improbabile scuola per delinquenti chiamata F.I.G.A. Milian indossa una parrucca nera e riccia, ha la barba non molto lunga da trucido, veste maglioni colorati di giallo e di nero e si tiene il pupo sulle spalle per tutto il film. Si lamenta che deve fare lo schiavo alla moglie e i dialoghi tra i due sono all’insegna del più rozzo romanesco (“All’anima de’ li mortacci tua e di que’ du’ quintali de ciccia! ’A Moby Dick!”) e sono conditi di una serie interminabile di parolacce e di insulti. Molto divertente è la scuola dove Monnezza insegna a un gruppo di aspiranti rapinatori che non ne combinano una giusta. In questa parte il personaggio di Milian ricorda il Totò scassinatore in pensione che fa lezione ai ladri in I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli. La scuola di Monnezza presso la Federazione Italiana Gratta Antiviolenza si propone di insegnare come si ruba una pelliccia da una parrucchiera, come si rapina un tassista e pure come si porta via un orologio da polso, ma i ragazzi falliscono sempre la parte pratica. Molto trash questa scuola dove come inno si grida: “Viva la fica e viva pure er culo! Eccheccazzo!”. Divertenti i lunghi monologhi tra Monnezza che parla rivolto al figlioletto che non lo può capire: “Sto’ a fa’ lo schiavo de’ tu’ madre”, si lamenta. E racconta la storia del coniglio che vive libero per i prati e un bel giorno lo prendono e se lo mangiano. “So’ finito in padella. Ho fatto la fine der coniglio”, conclude. Racconta pure come ha conosciuto la moglie e dice che il figlio gli ha rovinato la vita ma non ce la fa a vivere senza di lui. In un successivo monologo gli dice che la sua mamma faceva la battona, ma lo faceva con amore perché scopava con tutti per dargli da mangiare. Un’altra parte divertente vede Monnezza concordare con il produttore della moglie il compenso per il numero di pose e per il numero di scorregge che dovrà fare nel film. Alla fine si accorge che il produttore è omosessuale e gli dice: “Contento lei … il culo è suo, dotto’!”. E infine, rivolto alla moglie: “Vo’ fa’ er cinema? Scorreggi!”. Mitica la conclusione con la versione Monnezza della popolare canzone “Sandokan”: “Alta alta è la marea … Sandokan c’ha la diarrea …”. Tralasciamo il commento di tutta la parte poliziesca, perché è piuttosto convenzionale. Alla fine Monnezza recupera i soldi che la polizia cercava e li utilizza per comprare la sua libertà e quella di suo figlio. “So’ io er mammo e di mammo ce n’è uno solo. Tu m’ha rotto la fodera der cazzo! Metteme er sale sulla coda! Er Monnezza se ne va …”. Il film si chiude con Monnezza che scappa insieme al bambino e lascia la moglie sola a mandare avanti il ristorante.

La banda del Trucido è diviso in due parti distinte: il poliziesco serio d’azione – non di grande interesse – e la parte comica lasciata a un Tomas Milian che recita a ruota libera. La strada per un cinema quasi interamente comico è segnata, come è scritta la fine del poliziottesco, perché quando un genere arriva a fare la parodia di se stesso significa che siamo alla parabola conclusiva.
Sacchetti ed Elisa Briganti (moglie e collega dello scrittore) costruiscono una sceneggiatura su misura per cavalcare il successo del personaggio di Monnezza lanciato nel film Il trucido e lo sbirro (diretto da Umberto Lenzi nel 1976). Milian è lasciato libero di sbizzarrirsi nei dialoghi e nelle battute volgari in rima romanesca. Stelvio Massi non riesce a tenerlo a freno, anche perché la produzione voleva che il film soddisfacesse le aspettative di un pubblico che chiedeva un Tomas Milian sempre più trucido. Tomas Milian non amava molto (è un eufemismo) Luc Merenda, i due attori si stavano sullo stomaco reciprocamente, al punto che il regista – quando era possibile – li faceva lavorare a giorni alterni. Stelvio Massi ricorda che “Milian era di una timidezza impressionante e che se una persona non lo conquistava gli stava antipatica”, però dice anche che era “bravo, simpatico e generoso, un tesoro d’uomo che beveva per farsi coraggio ma era il miglior attore straniero nel nostro paese”. Sempre Massi ricorda che Tomas Milian mandava gran parte dei soldi che guadagnava alla madre e spendeva il resto per cambiare l’arredamento di casa. La produzione cambia tutti i nomi rispetto al precedente film (La banda del gobbo, diretto da Umberto Lenzi sempre nel 1977), per evitare ogni tipo di problema.

Per capire la genesi di Monnezza, del Gobbo e di Nico Giraldi è interessante riportare una dichiarazione di Tomas Milian che abbiamo letto su Er cubbano de Roma di Giorgio Navarro e Fabio Zanello (GrafiCreao, 2014): “Io non frequentavo attori stranieri in Italia. Gli americani per me andavano bene in America. Qui, non so perché, mi sembravano fuori posto. Oltrettutto dovendo fare l’attore in Italia volevo frequentare gli italiani. Quelli veri, del popolo. E quando diventavo loro amico, io ero un ragazzo come loro e viceversa, senza distinzioni di classe. Così cominciai a imparare il romanesco, e mi piacque molto anche la mentalità romana. Assorbivo le parolacce, che però per me non volevano dire niente, erano un suono che sapevo avrebbe fatto ridere il mio interlocutore e me appresso a lui. Tutto questo mi è poi servito molto nella mia terza fase cinematografica”.


Regia: Stelvio Massi. Durata: 99’. Soggetto: Elisa Livia Briganti, Dardano Sacchetti. Sceneggiatura: Elisa Livia Briganti, Dardano Sacchetti, Tomas Milian (non accreditato), Stelvio Massi. Fotografia: Franco Delli Colli. Montaggio: Mauro Bonanni. Musiche: Bruno Canfora. Scenografie: Carlo Leva. Casa di Produzione: Flora Film, Variety Film. Genere: Commedia, Poliziesco. Interpreti: Luc Merenda (commissario Ghini), Tomas Milian (Monnezza), Elio Zamuto (Belli), Katia Christine (Carla), Corrado Solari (Chicà), Imma Piro (Agnese Rinaldi), Nicoletta Piersanti (Marina Ciacci), Alessandra Cardini (ragazza in ostaggio), Aldo Barberito (giornalista), Franco Citti (Lanza), Paolo Bonetti (Ranocchia), Mario Brega (questore Alberti), Massimo Vanni (Marchetti), Sergio Mioni (Gianni), Domenico di Costanzo (Tocci), Salvatore Billa (Minone). Anno: 1977.

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Gordiano Lupi (Piombino, 1960), Direttore Editoriale delle Edizioni Il Foglio, ha collaborato per sette anni con La Stampa di Torino. Ha tradotto i romanzi del cubano Alejandro Torreguitart Ruiz e ha pubblicato numerosissimi volumi su Cuba, sul cinema e su svariati altri argomenti. Ha tradotto Zoé Valdés, Cabrera Infante, Virgilio Piñera e Felix Luis Viera. Qui la lista completa: www.infol.it/lupi. Ha preso parte ad alcune trasmissioni TV come "Cominciamo bene le storie di Corrado Augias", "Uno Mattina" di Luca Giurato, "Odeon TV" (trasmissione sui serial killer italiani), "La Commedia all’italiana" su Rete Quattro, "Speciale TG1" di Monica Maggioni (tema Cuba), "Dove TV" a tema Cuba. È stato ospite di alcune trasmissioni radiofoniche in Italia e Svizzera per i suoi libri e per commenti sulla cultura cubana. Molto attivo nella saggistica cinematografica, ha scritto saggi (tra gli altri) su Fellini, Avati, Joe D’Amato, Lenzi, Brass, Cozzi, Deodato, Di Leo, Mattei, Gloria Guida, Storia del cinema horror italiano e della commedia sexy. Tre volte presentato al Premio Strega per la narrativa: "Calcio e Acciaio - Dimenticare Piombino" (Acar, 2014), anche Premio Giovanni Bovio (Trani, 2017), "Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano" (Historica, 2016), "Sogni e Altiforni – Piombino Trani senza ritorno" (Acar, 2019).

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