Gianfranco Angelucci (Ancona, 1946) è collaboratore di Federico Fellini, scrittore e docente universitario e buon saggista cinematografico che si dedica a celebrare e a ricordare l’attività del Maestro. Ricordiamo libri interessanti con testi, curiosità e note tecniche su Amarcord, Casanova, E la nave va, Ginger e Fred. Citiamo il film documentario E il Casanova di Fellini? (1975). Un altro libro da riscoprire – sempre su Fellini – è Block notes di un regista; ricchi di foto inedite sono i preziosi La dolce vita e Un regista a Cinecittà. Sceneggiatore, sempre per Fellini, del film Intervista (1986). Tra le cose dedicate al regista di Rimini, in ambito cinematografico vanno segnalati i documentari girati nel 1987: Omaggio a Fellini, Fellini nel cestino, I protagonisti di Fellini. Autore di un romanzo, L’amore in corpo (1994) e del libro – a metà strada tra narrativa e memoria – Federico F (2000). Dirige la Fondazione Federico Fellini dal 1997, per volontà della famiglia: scelta consapevole, ché non ci sarebbe persona più competente e preparata. Pubblica nel 2020, anniversario dei cento anni dalla nascita del regista riminese, un interessante Glossario felliniano.
Gianfranco Angelucci è il classico regista monofilm, che si ricorda per aver diretto soltanto una pellicola – Miele di donna (1981) – intensa e psicologica, trasformata da una morbosa volontà produttiva in un film erotico, in ogni caso riuscito.
Vediamo in sintesi la trama. Siamo a Roma, in una calda giornata di agosto; una scrittrice esordiente (Spaak) esce di casa, manoscritto ultimato e pistola in tasca, decisa a costringere un editore (Rey) a leggere il suo lavoro. La pellicola si dipana come se fossero due film: il contenitore, composto dal rapporto tra scrittrice ed editore – chiusi in casa a leggere sotto minaccia –, e il contenuto, cioè la storia vera e propria, l’opera dell’autrice, che prende forma come un film narrato dalle parole dell’editore. Conosciamo Anny (Goldsmith), condotta in taxi alla Pensione Desiderio, dove incontra una sensuale padrona (Donati), una cameriera vessata (Russo) e altri strani inquilini, come il conturbante uomo nella stanza (Merenda), una sexy istitutrice (Navarro), un maestro di danza… La pensione non è un luogo reale, infatti Anny sta sognando, ma un posto dove tutti i desideri erotici della donna – anche i più reconditi – vengono alla luce.
Molte le scene di sesso, alcune riuscite, come le morbose attenzioni dell’istitutrice che mette in scena una singolare punizione per Anny, costringendola a pentirsi dei suoi desideri. Interessante il capovolgimento di un topos della commedia sexy: in questo film sono le donne a spiare un uomo seminudo da una finestra situata vicino al soffitto, nel guardaroba. Non solo, Anny si ritrova nuda sotto il letto a spiare in uno specchio il rapporto sessuale tra la cameriera e un pensionante, pure qui con evidente inversione di ruoli rispetto alla commedia classica. La cena è un’altra parte erotica, con Luc Merenda che alla fine si apparta con Clio Goldsmith nella sua stanza per consumare un rapporto ai limiti del sadomaso. Molte sequenze sono piuttosto calde, infatti circola una doppia versione, e quella televisiva risulta abbastanza castigata.
Il film gode di grande tensione erotica, avvolto in un alone di mistero, con un montaggio suadente, per niente serrato, che tiene lo spettatore in attesa di quel che sta per accadere. Il finale prevede una doppia sorpresa, com’è giusto che sia, visto che si tratta di due film, perché Anny si sveglia nel taxi e si accorge di aver sognato tutto, così come lo spettatore si rende conto che il rapporto scrittrice-editore è soltanto un vecchio gioco erotico tra moglie e marito.
Gianfranco Angelucci ha avuto un buon maestro (che segue nel suo fantastico mondo onirico), usa la macchina da presa con proprietà, dosando zoomate e tagli di occhi, primissimi piani, campi e controcampi, in un film dal chiaro impianto teatrale. La colonna sonora di Riz Ortolani è pregevole, introduce al clima erotico e accompagna nelle sequenze più intense uno spettatore affascinato da luci perfette e fotografia curata.
Interpreti ottimi, sia Catherine Spaak e Fernando Rey, coppia del passato ancora in gran spolvero, sia la giovanissima francese Clio Goldsmith (appena lanciata da Lattuada ne La cicala, 1980), di una bellezza selvaggia e intensa. Donatella Donati è la classica donna felliniana (proviene dal set de La città delle donne, 1980), a suo agio nel ruolo di padrona della pensione dagli insoliti gusti erotici, così come Adriana Russo interpreta un ruolo da cameriera che modifica i canoni della commedia sexy e Nieves Navarro (Susan Scott è il suo pseudonimo) si cala a dovere nei panni della perfida istitutrice. Luc Merenda non dice una parola: in questo film rappresenta la bellezza maschile, l’oggetto sessuale da concupire, con palese inversione dei canoni del cinema erotico, come detto.
Un film da rivedere e un autore (mancato) da riscoprire, con un dubbio da approfondire sulla carriera di Clio Goldsmith, limitata rispetto alle grandi potenzialità mostrare nei suoi primi due film italiani. Misteri del cinema.