Riparo

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Anna, la cui madre dirige una grossa fabbrica calzaturiera vicino a Udine, è fidanzata e convivente da tempo con Mara, operaia nella stessa fabbrica. Di ritorno da una vacanza in Tunisia, un giovanissimo clandestino, Anis, si nasconde nella loro auto, e viene scoperto al rientro in Italia. Anna decide di aiutarlo, ospitandolo in casa e trovandogli un lavoro come magazziniere presso un negozio gestito dal fratello. La decisione fa infuriare Mara, alle prese con un personale complesso di inferiorità e inadeguatezza, acuito dalla malattia degenerativa del padre, che l’ha sempre considerata una buona a nulla. Il fragile equilibrio che si instaura nel trio si spezza dopo la morte del padre di Mara e la scelta della madre di Anna di vendere la fabbrica a investitori cinesi, salvaguardando però il posto della convivente della figlia.

Si ha un bel dire che il cinema italiano versa in crisi profonda se poi, quando vengono prodotti piccoli gioiellini come questro, la distribuzione non può far altro che stampare poche copie per far uscire il film almeno nelle grandi città, rendendolo quindi pressocché invisibile alla maggior parte del Paese. E’ stato il caso de Il vento fa il suo giro, capolavoro dimenticato ancorché pluripremiato, capace di resistere per quasi due anni al cinema Mexico di Milano ma sconosciuto al di fuori della metropoli lombarda. E’ anche il caso di Riparo, che ha rappresentato l’Italia a Berlino nel febbraio 2007, ha vinto premi importanti al Festival di Annecy, è stato presentato a vari festival in tutto il mondo ed è uscito, nel nostro Paese, con un numero di copie sufficienti solo ad un primo week-end di assaggio, e scomparso al di sotto degli “allenatori nel pallone” e delle “leggende” blockbusteriane.
E’ un peccato, perché il secondo lungometraggio di Puccioni è un delicatissimo gioco di incastri sorretto da una sceneggiatura di ferro (scritta dal regista insieme a Monica Rametta) e da recitazioni che sfiorano la perfezione formale e sostanziale (una conferma per la sublime Maria de Medeiros, una splendida novità per la slovacca naturalizzata italiana Antonia Liskova, una straordinaria aderenza al ruolo per il giovanissimo Mounir Ouadi), e sarebbe un delitto farlo finire nel dimenticatoio.

Se a prima vista i temi della pellicola sembrano essere la difficoltà dell’integrazione in un mondo ostile (Anis) e dell’amore “diverso” che si scontra con il perbenismo infido (Anna e Mara), in realtà la tematica principale è più profonda: si tratta dell’inadeguatezza, della difficoltà a rapportarsi con un mondo che non è semplicemente privo di valori o scrupoli, ma molto più prosaicamente ha convinzioni diverse dalle proprie e non accetta il confronto. Un mondo in cui l’apparenza conta molto di più della realtà e dove è meglio non muoversi, lasciando che tutto scorra per mantenere uno status quo tutto sommato legittimo e confortante, piuttosto che provare a far qualcosa per migliorare la situazione propria e di chi ci vuol bene ottenendo solo scherno, disapprovazione e miserie. Un mondo in cui la ricerca di un riparo diventa una sfida esistenziale, spesso destinata a farci soccombere, ma disperata unica via d’uscita verso l’accettazione di noi stessi.
Chi ha un briciolo di sensibilità vive in una perenne tormenta emozionale, dove le sensazioni vengono a galla nei momenti di quiete apparente (non è un caso se molte scene si svolgono di notte, nella solitudine forzata dei letti in cui non si riesce a dormire), e da cui esce a volte ferendo gli altri, più spesso facendosi del male, comunque mai uguale a prima.
Il sottotesto del film, che gioca con i simboli del benessere della provincia nordestina dipingendo un quadro di ipocrisia (la madre di Anna), accondiscendenza (il fratello, consapevole o meno, di Anna), furberia (il magazziniere collega di Anis), disprezzo (il padre di Mara), ci riporta ad una realtà più condivisa e universale, fatta di esclusioni e incomprensioni che si svolgono anche fra chi non si vuole uniformare alla società, fra gli stessi individui socialmente “emarginati”: Anna, nel suo rapporto con Mara, non sa evolversi da genitrice ricca e apprensiva in compagna forte e volitiva, Mara non si scrolla di dosso il suo peccato originale di donna fallita, e lo stesso Anis, incapace di comprendere il rapporto fra le due donne, diviene il fulcro della svolta drammatica che prende la vicenda. Tre solitudini che si uniscono non possono far altro che portare a un paradiso momentaneo, ma fatalmente destinato a sparigliare le carte. Puccioni non ci mostra il nuovo stato di quiete, preferendo chiudere il film sulla sospensione dei fatti; ed è un bene, perché le porte che si stanno richiudendo sui protagonisti, come fanno le spighe del campo di grano in cui corre, disperato, Anis, potrebbero tornare a spalancarsi all’improvviso, e portare nuova linfa ai sogni di chi è negletto. E noi saremmo ancora qui, a fare il tifo per loro.

Un piccolo capolavoro, emozionante e sincero. Straconsigliato.

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