Tool – Fear Inoculum

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Dopo ben tredici anni dal lavoro precedente, il capolavoro 10000 days, i Tool si sono decisi a pubblicare un nuovo album: Fear Inoculum. E che album! Un’opera che atterra dall’alto delle aspettative che ha generato cozzando violentemente contro la cultura dell’easy listening in questo tempo che vuole la musica ostaggio di infinite piattaforme musicali e comunicative; in questo modo fende la pochezza dell’inflazionata proposta del “di tutto e di più” e arriva come un disco, per quanto più semplice e studiato del precedente, ben lungi dall’essere “facile” e dal confondersi con le troppe proposte-fotocopia. Sarò di parte, ma a differenza di alcuni blasonati (re)censori, più allenati ad ascoltare i propri pregiudizi che la musica che devono esaminare, ritengo che la lunga attesa sia valsa la pena.

Caratterizzato da lunghe suite e variazioni in perfetto stile progressive, Fear Inoculum è un disco non facile, non immediato ma davvero bello, coinvolgente, e ci dà il tempo di godere l’ascolto e l’analisi di ogni pezzo senza interromperlo forzatamente dopo i canonici tre o quattro minuti che fanno di ogni brano un potenziale singolo. Chi ascolta questa musica non vuole riaprire gli occhi poco dopo per correre a mettere un like o un commento inutile.
In questa opera dai lunghi intrecci musicali, è difficile dire quale tra i musicisti del gruppo spicchi più degli altri. Adam Jones sfoggia un’intelligenza musicale che ha ormai raggiunto livelli sopraffini, e la sua chitarra poliedrica è ben più presente rispetto al passato. La base ritmica è, al solito, sfavillante, con l’inconfondibile suono di Justin Chancellor che propone linee di basso simili a riff di chitarra. Danny Carey (adoro quest’uomo!) come sempre rulla e percuote le pelli a livelli altissimi, ed è ormai paragonabile a batterisri come Mike Portnoy o a Neil Peart (qui con i dovuti distinguo). Maynard James Keenan è meno… Keenan del solito: più melodico e, a parte in Pneuma e in 7empest, in cui il timbro si fa decisamente energico, con una presenza a volte quasi “didattica”. Ma è fuori concorso: un genio che ha saputo fare della propria voce uno strumento che è asse portante di ogni composizione, in cui si sublima.
A onor del vero bisogna dire che alcuni passaggi a vuoto ci sono, come i tre intermezzi (scaricabili con il dowload digitale) inseriti tra i sette brani ufficiali, che a mio avviso nulla aggiungono al disco, e come l’interminabile Culling voices, a cui manca tanto, anzi troppo, la base ritmica, fortunatamente distribuita in modo massiccio negli altri pezzi, tanto da far perdonare questo passaggio, e come Chocolate Chip Trip, che non si capisce se sia un breve intermezzo o semplicemente un brano un po’ tedioso.

La title track è il pezzo che apre l’album, un brano che cresce in progressione e rapisce fin dall’onirica e inquietante introduzione. Poi arriva Pneuma, una delle due perle dell’album, in cui la chitarra di Jones detta l’emozione dei cambi e cala sorprendenti suoni pure metal che arrivano al momento giusto, senza pesare o corrompere la melodia e la voce ispirata di Keenan. Invincible e Descending (soprattutto quest’ultimo) sono brani grandiosi, nei quali si sente maggiormente l’influenza delle esperienze di Maynard Keenan con gli A Perfect Circle e i Puscifer. Il finale è appannaggio dell’altra perla dell’album, quella 7empest dove tutti e quattro i Tool danno il meglio di sé stessi, ma in cui Jones, con il meraviglioso arpeggio iniziale e il lungo, potente (e per certi versi sorprendente) assolo conclusivo, definisce la dimensione di quest’opera really prog che aspettavamo da (troppo) tempo.

Un disco che non è per tutti, di sicuro non per chi preferisce la musica usa e getta, da ascoltare e riascoltare più volte. Ma quello poi viene naturale.

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Fiorenzo Dioni, nato a Brescia il 5 dicembre 1963, vive a Castel Mella e scrive da sempre per passione. Ha pubblicato “Porte” (2012), composto da tre racconti lunghi, “Riflessi” (2013), in collaborazione con la fotografa Raffaella Tagliaferri, in cui si confrontano immagini e parole, e la raccolta di racconti “L’uomo in scatola” (Calibano, 2019). Ha collaborato come recensore alle riviste “NB” e “Dentro Brescia”.

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