Mad Season – Above

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Perla insabbiata – poiché non sempre conosciuta – dell’epoca grunge, Above (1995) è l’unico album del supergruppo Mad Season, formato da alcuni esponenti della prolifica scena di Seattle; tra le sue fila infatti troviamo Layne Staley, voce e anima degli Alice in Chains, Mike McCready, chitarrista dei Pearl Jam, John Baker Saunders dei Walkabouts al basso, Barrett Martin, batterista degli Screaming Trees, e la partecipazione di Mark Lanegan (Screeming Trees, Queens of the Stone Age), voce in Long Gone Day e I’m Above, e del sassofonista Skerik (Eric Walton). Galeotta di questa prodigiosa collaborazione fu purtroppo la condivisa tossicodipendenza, che già dalla scelta del nome (in inglese con mad season si indica la stagione di fioritura dei funghi allucinogeni) non poneva le giuste premesse a quello che, programmaticamente, avrebbe dovuto essere un progetto di riscatto tra amici e colleghi. McCready e Saunders si conobbero infatti in una clinica di riabilitazione e con loro vollero anche l’amico Layne Staley, ugualmente naufrago in quel fiume dell’inganno da cui è difficile emergere una volta immersi, ma che nella musica e nella comune sfida della corrente avrebbe dovuto trovare una rete di salvataggio.

L’album si compone di dieci tracce[1] che, pur attingendo dal comune repertorio grunge e alternative rock, si aprono anche a sonorità diverse quali il blues, il classic rock, a tratti anche allo stoner, pur mantenendo una forte connotazione introspettiva e alquanto pessimistica, soprattutto nei testi, che in ogni brano vedono il contributo di Staley. Tra i versi emergono la sua dipendenza e la sua lotta per lasciarsela alle spalle, cui spesso cede l’arrendevolezza di an hysterical laugh at tiny holes, la solitudine, il disagio, ma soprattutto i tratti di un animo fragile, che per anni farà l’equilibrista sulla precaria strada verso l’autoannientamento: my pain is self-chosen, canta in River of deceit, terza traccia dell’album. Nel 2002 morirà di overdose in quella funesta data del grunge, il 5 aprile, in cui anche Kurt Cobain si tolse la vita, ma, a differenza del leader dei Nirvana, se ne andrà senza tanto clamore mediatico – e non per minori meriti artistici, anzi. La sua sofferenza trapela non solo dai testi, ma anche e soprattutto dall’inconfondibile timbro della sua voce lacerante, quasi fosse un’anima che piange.
La musica, al contrario, in tracce come Wake Up, Artificial Red e Long Gone Day, è calda, avvolgente nelle sue linee di basso, nei misurati ricami di chitarra e nelle percussioni. X-Ray Mind, Lifeless Dead e I Don’t Know Anything riportano invece, anche nell’uso della voce, alla prima produzione di Staley con gli Alice in Chains. In chiusura la strumentale November Hotel e All Alone: la prima più spinta, con un bell’assolo di chitarra, e la seconda un cielo azzurro che si apre tra le nuvole grigie affollatesi durante un temporale, dove però, ancora una volta, non lascia scampo la sentenza finale: we’re all alone.
Per quanto il frutto di questa collaborazione risulti particolarmente riuscito nel suo complesso, a mio parere una delle tracce più affascinanti è Long Gone Day, firmata anche da Martin, McCready e Lanegan: l’alternarsi delle voci di quest’ultimo e di Staley, che unendosi fanno venire la pelle d’oca, l’assolo di sax, la tiepida sezione ritmica, in cui figura anche la marimba, a tratti illuminata da alcuni armonici di chitarra la rendono memorabile. Tanto è inebriante e suadente la musica, quanto, d’altro canto, è disperato il suo testo: so many tears I’m starting to drown
L’artwork dell’album è incredibilmente opera dello stesso Layne, che a quanto pare possedeva abilità artistiche anche al di fuori dell’ambito musicale. L’illustrazione in bianco e nero è stata realizzata a partire da una sua foto con l’ex fidanzata.

Progetto collaterale di musicisti già affermatisi nelle relative band, merita di entrare tra le pile di dischi delle proprie collezioni. Un ascolto in solitaria che si addice a una serata uggiosa e malinconica.


[1] Portate a quindici nell’edizione rimasterizzata del 2013, che contiene, tra le altre, la cover di John Lennon I Do not Wanna Be a Soldier mama. Tutti i brani aggiuntivi sono cantati da Mark Lanegan (ndr).

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Francesca Pavanel frequenta il Liceo Scientifico, dannato complice del fiorire di numerose passioni, coltivate per evadere dall’aridità degli studi. Sulle note di "Altrove" getta, incerta, il seme a Milano, dalla provincia friulana che, nel suo immobilismo, piovosa, rende fertili curiosità e fantasia, libere di crescere su orizzonti privi di impedimenti. Design della Comunicazione un lustro, continua la ricerca del terreno giusto.

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