Thomas Pynchon – L’incanto del Lotto 49

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Una casalinga californiana viene nominata esecutrice testamentaria di un eccentrico miliardario e si trova coinvolta in un complotto mondiale, che affonda le sue radici molto indietro nel tempo e ha per protagonista l’antenato del moderno servizio postale.

Romanzo breve e apparentemente lineare, L’incanto del Lotto 49, considerato il capostipite della narrativa post-modernista, ma che rispetto a buona parte di essa si distingue per un’evidente componente dissacratoria e quasi parodistica, riesce a condurre il lettore in una dimensione venata di mistero in cui si muovono personaggi talmente difficili da inquadrare da dare alla narrazione uno straniante senso di allegoria, una sorta di citazione delle tipiche figure che stanno dietro ai grandi misteri d’America e non solo.
Veniamo coinvolti in questo allucinato e divertente delirio narrativo che mostra la natura instabile e mutevole dell’universo nel quale si avventura Oedipa Maas, incarnazione americana dell’eroe tragico per eccellenza, altrettanto accecata e non più in grado di distinguere ciò che è vero, convinta ogni volta di essere arrivata a sbrogliare l’enigma del Lotto 49, mentre invece sempre di più se ne allontana.

La scrittura di Pynchon, complessa, ricca di iperboli e lunghi monologhi interiori, rende perfettamente il senso di smarrimento da naufragio che fu cifra stilistica di James Joyce, scrittore che più di ogni altro mi è venuto in mente leggendo questo libro; se non temete il paradosso e apprezzate scrittori come Don DeLillo, non perdetevi il suo maestro.

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