Sandro Campani – Il giro del miele

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Un uomo debole e infantile e una donna priva della necessaria capacità di comprensione e adattamento si sposano, sognando di vivere grazie ai proventi della modesta attività di apicoltore di lui: le difficoltà che troveranno lungo la strada li divideranno e li renderanno persone infelici. La vicenda del loro tormentato matrimonio è rievocata da un amico comune, un falegname da poco scampato al rogo della propria azienda, nella notte in cui torna al paesino dove viveva con la moglie.

A prima vista, sembra la solita storia d’amore finita male, e in effetti lo è, ma Il giro del miele è anche altro: nella vicenda di Davide e Silvia c’è il dramma di chi non riesce, fatalmente, a costruire una relazione di fiducia e amore e vede negli altri (marito, moglie, amici) solo un’ancora a cui aggrappare una vita vuota, identificando la felicità con l’idea di appartenenza a una comunità, a un uomo, a una donna.
Davide e Silvia sono, per motivi diversi, incapaci di socializzazione, e a entrambi manca il talento di trovare nei legami una patria, un porto sicuro, mettendo sempre ogni rapporto umano sul piano del conflitto: da qui, la loro solitudine.

Questa dolorosa storia di aridità e sgomento è narrata da Sandro Campani alternando lunghi monologhi a dialoghi vivi e immediati, con uno stile narrativo sul quale pesa un po’ troppo l’utilizzo di termini ed espressioni dialettali, che alla lunga stancano; la prosa sembra guardare a diversi modelli della letteratura italiana ma le manca una reale impronta personale, risultando troppo spesso imitazione e finendo per concentrarsi troppo sulla trama, tralasciando la cura dello stile.
Peccato, perché l’idea è buona, il racconto suggestivo e ben gestito: non va oltre un’ampia sufficienza ma è comunque un libro per lettori consapevoli che la letteratura è altra cosa.

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