Pascal Mercier – Treno di notte per Lisbona

Possiamo definire Treno di notte per Lisbona un romanzo di viaggio? In un certo senso sì. Il protagonista, Raimundus (Mundus) Gregorius, professore bernese, compie un viaggio materiale e spirituale in Portogallo, a Lisbona per l’appunto, ma il treno di notte del titolo non ne è certamente il punto focale; e, alla fine, ci rendiamo conto che non è neppure il viaggio il nodo della questione.
La vicenda comincia con un duplice incontro, che segna un risveglio. Una mattina, Mundus, mentre sta andando a scuola, dove insegna latino, greco ed ebraico, s’imbatte in una donna misteriosa. La nazionalità portoghese della sconosciuta, per motivi non ben chiari, mette in moto qualcosa in Mundus. Improvvisamente affascinato dal Portogallo, scova in una libreria un libello in cui sono raccolte alcune riflessioni filosofiche di un certo Amedeu Prado. In realtà, anche se all’inizio non è evidente, sono le parole lette nel libro a convincere Mundus a lasciare la sua vita fatta di certezze e a partire.
Le alchimie dell’anima, gli interruttori che ci spingono a fare scelte folli e improvvise sono qualcosa di personale e misterioso. È possibile che un dettaglio insignificante ci muova verso una nuova vita, facendo scattare una serratura che era destinata comunque ad aprirsi. Tuttavia, la scelta di Mundus appare strana, non sufficientemente fondata. Il che, come vedremo, è in linea con il resto del romanzo, dove Mundus a un certo punto smette di essere il vero protagonista, per assumere quasi il ruolo di voce fuori campo.

Ma andiamo per ordine. Il professore bernese, coi suoi abiti sformati e la sua vita piatta, costruita sulle lingue morte, prende il treno e va a Lisbona. Qui ci aspettiamo che la sua vita muti radicalmente, che i suoi incontri lo spingano verso uno stile di vita totalmente diverso dal passato. Non si può negare che Mundus cambi, nell’aspetto, nell’abbigliamento, ma, come dicevo, ben presto ci accorgiamo che la sua storia è un pretesto. Al punto da diventare una sorta di sfondo abbastanza sbiadito. In realtà il romanzo non parla di lui, se non in una minima parte. Si tratta, invece, della ricostruzione della vita di Amedeu Prado, che il professore porta avanti con caparbietà da ricercatore, in modo ossessivo. Una vita intrecciata con la dittatura di Salazar e la Rivoluzione dei Garofani.
Anche qui, però, qualcosa stona. Innanzi tutto i personaggi, di cui Mundus raccoglie le testimonianze, parlano tutti con lo stesso tono. I loro sono lunghissimi monologhi con linguaggio letterario, che potrebbero essere attribuiti indifferentemente all’uno o all’altro. Non traspare dal loro modo di esprimersi la loro personalità, che è affidata ad altro. Anche quando hanno una vicenda tragica alle spalle, si riducono a narratori, o forse, sarebbe meglio dire, agiografi della vita di Amadeu.

A questi monologhi, che finiscono per essere stancanti, si intervallano lunghi brani del libro di Prado, sue lettere, sue annotazioni che hanno tutti lo stesso tono da libro sapienziale. Talvolta si resta colpiti da alcune riflessioni, altre si ha la sensazione che l’autore ci stia propinando concetti ovvi conditi con la salsa di un’erudizione posticcia.
Ne esce la figura di un uomo fuori dal comune, troppo intelligente, arrogante, inflessibile, nonostante la sua fragilità. Insomma, non certo un personaggio simpatico, al punto che ci si chiede perché Mundus ne sia così assorbito, perché ne faccia il proprio guru.
Quanto alle vicende storiche, neanche loro riescono ad avere il giusto risalto, per cui non si può dire che il romanzo abbia come intento quello di parlare della dittatura di Salazar.

Giunti al finale, si ha l’impressione che l’autore, non sapendo come concludere la vicenda, per timore di scadere nella banalità, non trovi di meglio che fare ammalare il nostro Mundus, in modo da farlo rientrare a Berna, al punto di partenza, cambiato sì, ma non al punto da scegliere la nuova vita a Lisbona in modo definitivo. Inoltre, a riprova del fatto che è diventato ingombrante e inutile, dopo aver assolto al suo ruolo di scopritore e celebratore di Prado, lo lasciamo sulla soglia di una clinica, senza neppure sapere che fine farà.

Treno di notte per Lisbona appare un libro dagli equilibri improbabili, troppo compiaciuto di se stesso. A tratti risulta pesante, eccessivamente letterario. Con questo non voglio dire che sia pessimo, ma che lascia con la sensazione di essere stati raggirati, nonostante la mole di pensieri e di suggerimenti che ci viene elargita. O forse proprio per questo. Tornando alla domanda iniziale, infatti, la conclusione è che no, non si tratta di un romanzo di viaggio. Non è neppure una discesa nella psiche di Mundus. È un trattato di filosofia camuffato da romanzo, scritto da un filosofo, Peter Bieri, che si nasconde dietro pseudonimo di Pascal Mercier, ma che potrebbe avere scelto benissimo di farsi chiamare Amadeu Prado. Il che, considerate le innumerevoli volte in cui Prado viene definito un genio al di sopra della media, beh, suona piuttosto narcisista.

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M. Caterina Mortillaro, nata a Milano, è insegnante, giornalista, editor, traduttrice e dottore di ricerca in antropologia. Nel campo della narrativa ha pubblicato “Gli amici della torre normanna” (Il Rubino, 2011) e alcuni racconti tra cui “Quid est veritas?”, secondo classificato al Premio Urania Short, “Facciamo venerdì?”, inserito nell’antologia Distòpia (Mondadori, 2020), “Mystika”, apparso su Urania di aprile 2021. Con Delos ha pubblicato “Cicerone – Memorie di un gatto geneticamente potenziato” (2019), “Bollywood Babilonia” (Premio Delos Passport 2018), “Devaloka. Il pianeta degli dèi” (2019), vincitore del Premio Odissea 2019, “La Compagnia del Pisello” (2020), e l'antologia curata insieme a Silvia Treves “DiverGender” (2019). A fine 2021 ha pubblicato il romanzo "Kali Yuga" (Calibano Editore).

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