Lara Gregori – La grazia

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Cinque punti di sutura il polso destro, sei il sinistro; da ore Sam White marciava senza sosta da una parete all’altra della propria cella.
Chirurgo cane! Come aveva potuto? I tagli che si era inferto erano perfetti: quattro centimetri per polso, un centimetro di profondità. La sua precisione di calcolo era assoluta; e quell’imbecille del pronto soccorso aveva messo un punto in più.
O in meno. Come aveva potuto? A lui! A Sam, il chirurgo! Lui che aveva scuoiato tutte le sue vittime come opere d’arte, senza nemmeno una sbavatura! Lui, che ne aveva lisciato la pelle, restaurato le imperfezioni, curato ogni minimo dettaglio fino a farla diventare un unico quadro d’insieme, un’unica sagoma definita e immutabile.
Conservata in formalina. Mai più usura. Mai più degenerazione.
“Orrende mutilazioni”, scrivevano i giornali. Bastardi ottusi! I suoi polsi sì che erano orrendi, ora. Deturpati senza rimedio.
«Mangia, Zorro, che la pappa si fredda!». Dal pertugio della porta John, la guardia di turno, lo osservava.
Sam si voltò e con un calcio rovesciò il tavolo e il vassoio. Il chili dei tacos si infranse sul muro. «Fottiti!», e ricominciò a marciare.
«Come sta il 22548?».
«E’ molto agitato. E’ tutto il giorno che cammina nella sua cella, imprecando. Poco fa ha ribaltato la cena con un calcio».
«Mmmhh… capisco. Il cappellano che ha detto?».
«Il 22548 non ha voluto riceverlo, signore!».
Il direttore del carcere smise di spulciare i documenti sulla sua scrivania. Guardò John, ritto di fronte a lui, ma non incrociò i suoi occhi.
«L’incontro con la moglie?».
«Non ha voluto nemmeno lei, Signore».
Il direttore si accigliò: «Ha spiegato il perché?».
«Nossignore! Ha detto soltanto che non permetteva a nessuno di vederlo così».
«Che cosa intendeva?».
«Non lo so, Signore. Se posso…». La guardia smise di parlare. Sapeva che il Direttore non gradiva opinioni nei resoconti. Gli interessavano soltanto i fatti. Preferì guardarlo, aspettando un cenno di conferma.
«Cosa?».
«Signore, il 22548 è furioso da quando, tre giorni fa, lo abbiamo salvato dal suo tentativo di suicidio. Ha iniziato in ospedale, dopo essersi ripreso. Si è sfasciato le bende e ha cominciato a urlare, scagliandosi sul medico del pronto soccorso.
Grazie a Dio era debole per il sangue perso. Siamo intervenuti appena in tempo, aveva già in mano un bisturi per ammazzarlo. Credo che abbia paura per stasera. Si aspettava la grazia. Ripete ossessivamente questa parola, nei suoi improperi». John pronunciò quel discorso tutto d’un fiato, con gli occhi al pavimento.
«La grazia?». Il Direttore esplose in una risata. Si alzò di scatto, con i pugni chiusi puntati sulla scrivania. «Quello è un pazzo. Un lurido cane bastardo e pazzo. Come può sperare che gli arrivi la grazia dopo quello che ha fatto? Dovrebbero scuoiarlo vivo. Ecco quello che si meriterebbe!».
Si pentì immediatamente di quello sfogo. Fissò la guardia, cercando di carpire dalla sua espressione i rischi di quell’errore. Ma John aveva già smesso di guardarlo, restando dritto di fronte a lui.
In una frazione di secondo il Direttore calcolò che era stato proprio John a trovare il corpo esanime del 22548. L’aveva salvato in extremis. Era un buon esecutore. Fidato.
Riprese il solito contegno. Si accomodò di nuovo, prendendo la carta intestata dal cassetto: «A ogni modo, non voglio che stasera il 22548 si presenti in quello stato.
I parenti delle vittime hanno già sofferto troppo e non voglio pagliacciate. Rimediamo subito».
Cominciò a scrivere. Poi chiuse il foglio in una busta e la consegnò alla guardia. «Porti questo ordine di servizio al dottor Davis. Deve somministrare un sedativo al detenuto. Immediatamente.
Abbiamo ancora due ore. Vada».
«Sissignore!». John salutò il Direttore e uscì di corsa, diretto all’infermeria.
Nella cella del 22548 il dottor Davis aveva risistemato il tavolo e appoggiato la propria borsa medica. Quattro guardie, con il manganello alla cintola, erano schierate lungo la parete d’ingresso.
Sam continuava a marciare, ignorandoli.
«Fermati. Devo farti un’iniezione».
Sam White si voltò: «Che iniezione?».
«Un sedativo. Ti aiuterà a non accorgerti…».
Sam lo guardò con sarcasmo: «Grazie, dottore per questa gentilezza. Ma non ho bisogno di alcun sedativo. Sono tranquillo.
Non ho paura della sedia elettrica. L’unico orrore era insudiciarmi con tutte quelle bruciature deformi, ma ormai…». Cieco d’odio si osservò i polsi. Riprese a marciare.
«Ordine del direttore, 22548. Mi dispiace».
Il dottor Davis preparò la siringa. «Fermati. Non costringermi a far intervenire le guardie». Si avvicinò al detenuto, con cautela.
Sam cominciò a urlare e a tirare calci al muro: «Non mi farete nessuna iniezione, bastardi!». Poi si voltò, alzando le braccia verso il viso del dottore: «Tutti devono vedere questo scempio! Tutti! Questa volta non me lo impedirete. Le mie incisioni erano perfette. Non mi impedirete di urlarlo stasera.
Per conservare la Bellezza ci vuole Grazia! Voi, tutti voi che vi credete gli esseri civili, gli esseri giusti, non sapete nemmeno cosa sia la Grazia!».
Le guardie si scagliarono sul 22548, piegandolo sul letto. Il dottor Davis fissò il laccio emostatico. Infilò l’ago in vena.
Mentre le ultime gocce del farmaco si diluivano nel sangue, Sam biascicò: «Non avete capito niente. Non avete mai capito niente. E’ la Grazia che fa la differenza. Ci vuole Grazia».

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