Kurt Vonnegut – Madre Notte

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In questo romanzo, Kurt Vonnegut si immagina curatore delle confessioni di Howard Campbell Jr., scrittore e commediografo americano che, rinchiuso in un carcere israeliano in attesa di processo per crimini di guerra, decide di ricordare e scrivere la propria vita.
Emigrato in Germania, negli anni del nazismo riesce a ritagliarsi una posizione prominente nel Ministero della Propaganda di Goebbels, diventandone la voce più ascoltata nel mondo; finita la guerra, torna in America in clandestinità, fino a che non viene catturato dai servizi segreti israeliani. Questo è tutto ciò che il mondo conosce di Campbell, mentre la verità è che fu assoldato senza molta possibilità di scelta dai Servizi Segreti per diventare una spia americana nell’entourage nazista. E ora si trova nella situazione di non potersi discolpare, non essendovi più nessuno nel governo in grado di convalidare la sua versione.

Quella che può apparire come una trama intessuta con un filo tragicomico, rafforzata anche dalla consueta ironia che Vonnegut dosa nei dialoghi e nelle situazioni, nasconde invece un’analisi molto più sottile e una domanda sicuramente scomoda: per poter compiere al meglio il suo lavoro di spia, Howard Campbell Jr. dovette interpretare a fondo il suo ruolo di megafono dell’ideologia nazista; questo ne fa un colpevole?

La leggerezza con cui compie il suo incarico di propugnatore dell’odio razziale ne fa un colpevole, ma allo stesso tempo ci tramette l’immagine di un uomo costretto a compiere il proprio dovere con azioni che lui stesso reputa lontane dal proprio pensiero. Lo stupore con cui scopre di essere considerato, ben dopo la fine della guerra, un’autentica leggenda e una guida dai gruppi americani di nostalgici nazisti, che lo cercano ovunque al pari della giustizia israeliana, dà la misura di quanto poco egli abbia compreso quale peso abbiano nella vita di un uomo le proprie azioni. Io, come speaker radiofonico, avevo sperato di essere soltanto ridicolo, ma viviamo in un mondo in cui essere ridicoli non è facile; ci sono troppi esseri umani che non vogliono ridere, che non riescono a pensare; vogliono soltanto credere, arrabbiarsi, odiare dice a un certo punto Campbell, chiarendo meglio di qualsiasi descrizione la sua personale versione della “banalità del male”.
Vonnegut, aiutandosi con una coinvolgente narrazione in prima persona, gioca con maestria su questo doppio binario, sviluppando una storia che ci lascia in uno stato di indecisione fra il goderci le pagine dense di ironia e di episodi divertenti e il ricordarci del sotteso storico tutt’altro che allegro.

Terminata la lettura, non possono che risuonare forti e chiare le parole dell’autore nell’introduzione: Noi siamo ciò che fingiamo di essere, perciò dobbiamo stare attenti a che cosa fingiamo di essere!

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