“La disinformazione felice. Cosa ci insegnano le bufale” è un libro che tutti dovrebbero leggere, sia chi dissemina le bufale in rete, con maggiore o minore buona fede, sia chi si danna a tentare di smontarle con un’opera certosina di fact checking.
L’autore comincia con una disamina delle principali bufale del passato (eh sì! perché le bufale sono sempre esistite), a partire dall’aneddoto che attribuisce a Empedocle l’affermazione che in alcune caverne della Sicilia furono trovate testimonianze fossili di una stirpe di uomini giganteschi oggi scomparsa. Si tratterebbe dei Ciclopi di cui parla Omero! Questa bufala circolava da tempo immemorabile, rimbalzando attraverso le opere di autori famosi. Pensate che si dice che ne abbia parlato persino Boccaccio! Si dice… Ad ogni modo questa, che ovviamente si è rivelata una bufala, è arrivata sino a tempi recenti: nel 1934 Othenio Abel, paleontologo austriaco, fu il primo ad attribuire con certezza a Empedocle l’affermazione, mentre in precedenza ci si teneva un po’ sul vago. Negli anni Quaranta del secolo scorso Willy Ley, uno dei primi storici della paleontologia, ripescò il mito dei Ciclopi e aggiunse l’affermazione che Boccaccio avesse citato Empedocle, cosa peraltro non vera. Se volete svelato l’arcano dovete leggere l’interessante scritto di Paglieri che, con grande leggerezza, affronta un tema di particolare attualità.
Altre grandi bufale ci sono state nel passato, basti pensare alla Donazione di Costantino… E il libro le analizza con accurata ricerca e una buona dose di ironia, sottolineando che tutto questo accadeva quando internet non esisteva.
E oggi? Come spiegare la diffusione della disinformazione online? È attribuibile ad una crisi della deferenza verso gli esperti, a sua volta fondata su un frainteso ideale di democrazia epistemica: la convinzione secondo cui ogni opinione ha esattamente lo stesso valore, a prescindere dalle credenziali conoscitive di chi la formula.
È chiaro che Paglieri ha una visione ottimistica – del resto si comprende dal titolo – e ritiene che le bufale siano un patrimonio da valorizzare e possano rappresentare un allenamento alla riflessione critica.
Io però non sono d’accordo; e voi?