David Benioff – La città dei ladri

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Amicizia e fragilità della vita

È l’inverno del 1941 a Leningrado. La città è sotto l’assedio delle truppe tedesche e i suoi abitanti non hanno mai patito tanta fame.
Per Lev, diciassette anni, naso grosso e capelli neri, e Kolja, giovane cosacco con la faccia impertinente, la fame, tuttavia, è ben poca cosa rispetto a ciò che li aspetta. Lev ha rubato il coltello a un paracadutista tedesco morto assiderato, e Kolja ha avuto la brillante idea di disertare. Reati gravissimi in tempo di guerra, per i quali la pena prevista è una sola: la fucilazione.
Unica alternativa una missione impossibile, comandata da un colonnello della polizia politica: procurarsi una maledetta dozzina di uova introvabili in tutta Leningrado per gli eroici soldati dell’Armata Rossa, ma non forse per una volgare coppia di ladri…

Il romanzo, ambientato durante l‘assedio di Leningrado (Piter, San Pietroburgo per i nostri protagonisti) ci è raccontato con uno stratagemma letterario. Un nipote americano, che per trent’anni ha incrociato le vite dei propri nonni, emigranti russi, riesce a farsi raccontare dal sempre silenzioso nonno la settimana in cui uccise due tedeschi e conobbe la nonna.
Da questo escamotage parte un’avventura incredibile di guerra, spaventosa, intensa, rivoluzionaria: un breve lasso di tempo che sconvolge tutta la vita del giovane Lev, rimasto a Leningrado mentre madre e sorella sono fuggite lontano dai bombardamenti. Compagno di avventura del giovane sarà Kolja, un disertore cosacco bello e scanzonato.
Nel racconto della loro caccia alle uova emerge, senza ombra di dubbio, l’assurdità della guerra, in un’altalena di orrore e ridicole situazioni. La fugacità dell’esistenza si batte a mani nude con gli istinti primari di protagonisti e comprimari, anche se la leggerezza del coprotagonista Kolja sembra inossidabile alle brutture che incontrano per strada. L’intelligenza e la sua sensualità, spesso scandalosa, lo porteranno ad avere la meglio sulla bestialità che regna sovrana.

Povertà e guerra non fanno sconti a nessuno, e la volgarità carnale potrebbe disturbare gli animi più sensibili fra i lettori, quando tutto viene spogliato della gentilezza e le metafore si sciolgono come neve al sole. Solo la fame brilla come una lama, e la carne reclama insaziabile qualsiasi merce in cambio della vita.
Lev si lascerà guidare, maturando e affinando i sensi, dall’amico irresistibile e ironico anche nelle situazioni tragiche, portandoci attraverso situazioni intollerabili: atrocità che si vorrebbero dimenticare ma che fanno parte della nostra storia e che non vanno omesse. Nessun vincitore, nessun eroe, solo miseri uomini attorcigliati nella violenza feroce, cercando una via di fuga dall’orrore. Unico faro nella notte, il sorriso di Kolja, che Lev imparerà e ricorderà per sempre.

Una menzione al finale sorprendente che ci strappa l’ultima risata.

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Giorgio Olivari nasce a Brescia nel secolo scorso. È professionista nel campo del disegno industriale da più di trent’anni. Dopo i primi quarant’anni da lettore scopre la scrittura per caso: uno scherzo della vita. La compagna di sempre lo iscrive a un corso di scrittura creativa: forse per gioco, più probabilmente per liberarsi di lui. Una scintilla che, una volta scoccata, non si spegne ma diventa racconto, storie, pensieri; alcuni dei quali pubblicati dai tipi di BESA in "Pretesti Sensibili" (2008). La prima raccolta di racconti brevi, "Futili Emotivi", è pubblicata da Carta & Penna Editore nel 2010. La sua passione per la letteratura lo ha portato a “contagiare” altri lettori coordinando gruppi di lettura: Arcobaleno a Paderno Franciacorta, Chiare Lettere a Nave.

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