Cataldo Russo – Il pescatore che tumulava le ossa

0
609

Anche in questo suo ultimo romanzo (Il pescatore che tumulava le ossa, Prospero Editore 2020) Cataldo Russo intitola i capitoli con proverbi popolari della Calabria. Qualche esempio: “Quannu ‘a resa du cuntu s’avvicina, ‘u sangu ‘nda li veni si fa focu”; “Si ti fai pecura, ‘u lupu prestu ti mangia”; “Se ‘a verità vo’ scoprire, va’ druvu ‘mpera ‘a minzogna”.
È una tecnica letteraria che lo scrittore aveva già usato nel suo precedente romanzo “All’Inferno con ritorno” (Guida, 2014), col quale quest’ultimo libro ha in comune – quale ulteriore elemento- anche l’incontro fra due mondi diversi.
“All’Inferno con ritorno” narrava, infatti, una storia di emigrazione vissuta tra l’Argentina e l’Italia. Quest’ultimo romanzo narra, invece, una storia che tratta di immigrazione clandestina e pone a confronto vicende relative sia all’Italia che al mondo arabo-musulmano.

Il pescatore protagonista del libro è Mario Zumpano, una persona onesta, di sani principi, di buon cuore, che manifesta in svariate occasioni la sua profonda umanità e il suo amore per la giustizia e la vita (in alcune pagine lo troviamo intento a dare sepoltura ai cadaveri di ignoti africani, morti annegati in mare).
Egli vive in Calabria la sua sofferta vicenda. E nella natia Calabria è violentemente investito dai terribili eventi, problematici e gravi, che oggi segnano quella bella regione del nostro Sud: la delinquenza organizzata, il malaffare, l’ingiustizia, la violenza prevaricatrice, l’immigrazione clandestina, il “business” che da questa ricava una tentacolare rete di corruzione.
Verso l’immigrazione dall’Africa Mario ha una visione umana, equilibrata: è favorevole all’integrazione e all’accoglienza, lotta per i diritti di tutti gli esseri umani, auspica l’eliminazione dello sfruttamento nel lavoro (che mortifica gli immigrati e fa crescere l’intolleranza e il razzismo).
Il giovane si innamora con immediata naturalezza di un’immigrata clandestina libica, Jamila, “colpito dai suoi occhi intensi e dai suoi lineamenti delicati”.
In una bella pagina del libro egli dirà di Jamila: “Di lei mi avevano colpito la sofferenza degli occhi e la dignità… Una dignità che mi ricordava regine di terre lontane. Era povera, ma dignitosa, come solo chi attraversa grandi tragedie sa essere”.

In terra calabra Jamila è obiettivo e bersaglio del più bieco razzismo: alcuni giovani italiani, spregevoli, accecati dall’odio contro gli stranieri, arrivano addirittura a umiliarla orinandole addosso. Ma Jamila è forte; resiste alle avversità della vita. Nel suo “viaggio della disperazione” ha perduto in mare il marito e un figlio. Tuttavia, grazie all’amore di Mario, ricompone una famiglia di cui faranno parte anche il bambino Moses (un trovatello scampato a un naufragio di clandestini e adottato dai due protagonisti del libro) e l’adolescente Nadir (l’altro figlio di Jamila, venuto anche lui in Italia dopo la morte del nonno).

Questo libro di Cataldo Russo non è solo la narrazione di una toccante storia d’amore. Esso è anche testimonianza letteraria di una forte denuncia politica: quella di una società in cui prevalgono ancora l’illegalità, la violenza, la ‘ndrangheta e alcuni poteri corrotti (ahimè!) del nostro Stato.
Mario e la sua famiglia sono presi, come altri onesti, nel vortice violento di tale società squilibrata (una società che assomiglia sempre più a un “mare incollerito, le cui onde gareggiano in altezza con le vette dei monti”; un mare le cui onde sembrano “scalciare come cavalli imbizzarriti”).
Il pescatore Mario, costretto a vivere quotidiani soprusi, intimidazioni e minacce, vi si oppone con coraggio e forza. Tuttavia il Male, in Calabria, ha radici profonde, come lo scrittore ricorda.

Da Calabrese, Cataldo Russo fa anche dichiarare a un suo personaggio: “Noi Calabresi, piuttosto che dividere la speranza con altri, preferiamo dormire in compagnia della disperazione”. E, in un’altra amara pagina, aggiunge: “La vita è stata ridotta a una merce di scambio… niente altro che un’appendice”.
Tuttavia, una soluzione c’è, ammonisce lo scrittore: “La malapianta della ‘ndrangheta non si estirpa con le leggi speciali o il carcere duro, ma dando una prospettiva ai giovani”. Una prospettiva e una speranza fondate su esempi sani, aggiungerei io…

Chi sperasse di trovare, in questo romanzo, approfondite analisi psicologiche dei personaggi (come nei libri, ad esempio, di Michele Prisco o di Henry James) resterà certamente deluso. Cataldo Russo ha, infatti, costruito la sua ultima opera dando prevalenza soprattutto ai dialoghi (ulteriormente rivelando, in tal modo, una sua peculiare passione per la scrittura teatrale).
Personalmente, in codesta tecnica letteraria io riscontro anche un linguaggio peculiare del cinema: essenziale, moderno immediato. Chissà che qualche regista non pensi di trasporre cinematograficamente questo interessante libro di Russo: un bel film coraggioso, di forte impegno civile!

SHARE
Articolo precedenteClaire Loader – Qetesh
Articolo successivoTorquato Tasso
Vincenzo Cutolo nasce a Sarno, in provincia di Salerno. È stato docente di lettere e Dirigente scolastico per molti anni a Milano e Zurigo. Ha avuto varie esperienze teatrali sia come attore, sia come regista e autore di testi. Ha pubblicato tre testi teatrali: “E come potevamo noi cantare (la Guerra - il Lager - la Camorra”); “Fiori di Napoli” (La Morte - la Mala vita - l’Amore); “Il volo dell’essere (Un poema fisico sull’amore)”. I testi sono stati rappresentati a Milano, in Campania e a Zurigo. Ha anche pubblicato la sua produzione giornalistica nel volume “Pagine sparse e civili (Teatro, Scuola, Politica, Cultura, dagli anni Sessanta del Novecento a oggi)”. È presidente dell’Associazione EducaCi, di cui dirige il gruppo EducaCi- Teatro.

Lascia un commento

Scrivi un commento
Per favore inserisci qui il tuo nome

inserisci CAPTCHA *