Nella Francia del XVII secolo, dilaniata dalle rivolte della Fronda, si scontrano la reggente Anna d’Austria, madre del giovane Luigi XIV, e la principessa di Condé, moglie del principe ribelle, fatto imprigionare dal cardinale Mazzarino. Questa guerra di donne, che appartiene alla Storia, fa da scenario a un’altra guerra, che vede schierate le protagoniste del romanzo: Claire de Cambes, nobile frondista, e Nanon de Lartigues, potente mantenuta, devota alla regina. Non è solo la politica, però, a dividere le due eroine, ma la passione per il medesimo uomo: il barone di Canolles.
Nelle prime pagine le due protagoniste appaiono stereotipate nei ruoli l’una dell’ingenua e l’altra della spregiudicata; ben più interessante è la loro evoluzione nel corso della storia: la nobile e fragile Claire si trasformerà in una donna volitiva e appassionata; la borghese Nanon, avida e manipolatrice, rivelerà alla fine un insospettabile animo eroico. I maschi, relegati al ruolo di comprimari, appaiono dotati di ben più modeste qualità, a cominciare dall’oggetto del contendere, il barone di Canolles, combattuto fra l’amore delle due donne, che sceglie di volta in volta a seconda delle convenienze.
La guerra delle donne annovera tutti gli elementi della produzione di Alexandre Dumas: Storia, politica, intrighi, amore. Tuttavia insolita è la declinazione in chiave femminile.
I capitoli si sgranano uno dietro l’altro e ci avvincono in virtù di scene gustose alternate a passaggi più didascalici; travestimenti, false identità, imbrogli e astuzie vengono messi in scena con il pretesto di salvare tanto la reputazione dell’eroina di turno, quanto una piazzaforte. Tuttavia, dietro la giocosità di un’opera che si diverte a mescolare realtà e finzione, emerge fra le righe la simpatia dell’autore per il mondo borghese, spregiudicato e dinamico, contrapposto alla nobiltà di sangue, ingessata dentro scelte castranti. E non è un caso se affida proprio ai suoi personaggi borghesi, la bella Nanon e suo fratello Cauvignac, avventuriero filosofo, la conclusione dell’opera.
Il finale del romanzo, infatti, getta una luce amara sulle avventure fin lì concluse: la regina, Mazzarino e i principi ribelli, dimentichi della guerra che li ha visti divisi e dei morti che hanno causato, si ricompongono in un’alleanza che ha le proprie radici nella comune appartenenza alla nobiltà di sangue. E nel motto di Couvignac, che chiude l’opera, cogliamo il pensiero ironicamente mesto dell’autore: Sono contento di sapere una cosa: per quanto cattivo io sia, v’è un bel po’ di gente che non mi vale.
Ben prima delle serie tv, che bruciano l’interesse del pubblico in una manciata di stagioni, La guerra delle donne è uno straordinario saggio di come un’opera letteraria ottocentesca sia ancora capace di avvincere e divertire per oltre cinquecento pagine.