“Black Mirror: Bandersnatch” e il potere della scelta

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Black Mirror Bandersnatch è uno speciale episodio “interattivo” della nota serie tv Black Mirror, innovativa sotto molteplici punti di vista, attualmente prodotta da Netflix e considerata ormai una pietra miliare del mondo seriale. Innanzitutto, non si presenta sotto forma di una “normale” serie televisiva: ogni stagione (e finora ne abbiamo avute quattro due di tre episodi e due di sei) presenta episodi sconnessi uno dall’altro, ognuno con protagonisti diversi, ambientati in mondi distopici, in tempi differenti (passato, presente, futuro).

La caratteristica che, tendenzialmente, accomuna ogni singola puntata è proprio la distopia: previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi: (equivale quindi a utopia negativa), come precisa l’Enciclopedia Treccani online. E Black Mirror fa proprio questo: ci presenta mondi in cui l’evoluzione tecnologica ha avuto un forte impatto e forti ripercussioni sulla società.

Che cosa rende speciale, invece, Bandersnatch? Si tratta del primo esperimento di tv seriale interattiva: ogni spettatore ha la possibilità di scegliere tra due opzioni, quando se ne presenta l’occasione. Quello che sembra non essere stato colto dai più è: uno, la rilevanza dell’esperimento – quanto ci sarebbe piaciuto scegliere quale destino dovessero avere Jack e Rose in Titanic? -; due: il fatto che l’esperimento di interattività rientra comunque in un progetto, come quello di Black Mirror, in cui nulla è lasciato al caso e all’ovvietà.

Siamo negli anni Ottanta. Protagonista dell’episodio è Stefan Butler, un giovane programmatore che sta lavorando alla realizzazione di un videogioco basato su un gamebook intitolato proprio Bandersnatch, che decide di presentare alla società il cui programmatore di punta è il visionario Colin Ritman. È proprio a questo punto che ci viene proposto di fare la prima scelta decisiva:  lavorare al videogioco in ufficio con altri collaboratori o in solitaria, da casa. Accettando di lavorare in collaborazione ci viene riferito di aver fatto la scelta sbagliata e ci viene riproposto di scegliere.

Una delle criticità che più sono state sottolineate è proprio il fatto che in alcuni casi, proprio come questo, la scelta di per sé non esista, perché in un modo o nell’altro Stefan deve compiere azioni già determinate, e spesso capita che ci venga richiesto di tornare indietro per rifare la scelta “giusta”. In conclusione, non stiamo scegliendo. Ma bisogna considerare il progetto nella sua totalità: non si tratta di scegliere e basta come far agire il protagonista, o quali cereali fargli mangiare, o quale musica fargli ascoltare; l’intera puntata ruota, infatti, proprio intorno al tema della “scelta”.

Proseguendo nella lunga (e intricata) trama, scopriamo che Stefan segue una terapia presso la dottoressa Haynes, a causa della destabilizzazione causatagli dalla morte infausta della madre, vittima del deragliamento di un treno che non avrebbe dovuto prendere. Tutto questo però lo scopriremo solo decidendo di fargli attendere la sessione di terapia invece di seguire Colin, che Stefan incontra proprio davanti allo studio della dottoressa. Scegliendo di seguire il famoso programmatore, il protagonista viene condotto a casa sua e sollecitato ad assumere sostanze allucinogene. Eppure la scelta che selezioniamo non ha effettivo valore, perché Stefan assumerà la sostanza in ogni caso. Da allucinato, Colin tiene un discorso in cui sottolinea proprio la non-libertà di scelta dovuta al controllo cui ognuno di noi è sottoposto: 

You know what Pac stands for? PAC. Program and Control. He’s Program and Control Man. The whole thing’s a metaphor. All he can do is consume. He’s pursued by demons that are probably just in his own head. And even if he does manage to escape by slipping out one side of the maze, what happens? He comes right back in the other side. People think it’s a happy game. It’s not a happy game. It’s a fucking nightmare world. And the worst thing is? It’s real and we live in it. [Lo sai per cosa sta Pac? PAC. Program and Control. È l’Uomo che Programma e Controlla. Il tutto è una metafora. Tutto ciò che può fare è consumarsi. È inseguito da demoni che sono probabilmente solo nella sua testa. E anche se riuscisse a sfuggir loro scivolando fuori da una parte del labirinto, cosa accadrebbe? Ritornerebbe all’interno da un’altra parte. La gente pensa che sia un gioco divertente. Non è un gioco divertente. È un cazzo di incubo. E la parte peggiore? È reale e noi ci viviamo dentro.]

A questo punto Colin, sempre sotto gli effetti dell’allucinogeno, propone a Stefan di scegliere chi dei due debba morire per liberarsi dal controllo cui è sottoposto il genere umano, gettandosi dal balcone. Ed è qui che noi spettatori siamo chiamati a decidere se alleviare il nostro protagonista dalle pene di una faticosa vita fatta di scelte controllate. Scegliendo di salvarlo, invece, Stefan continuerà il suo lavoro sul videogioco Bandersnatch e, giunto il termine per la consegna, si troverà a fronteggiare ancora bug ed errori nella programmazione. Forse influenzato dal discorso di Colin, Stefan sospetta di essere controllato da forze esterne ed è qui che rientriamo in gioco noi, con la possibilità di rivelarci a Stefan direttamente dal nuovo millennio come spettatori di una piattaforma di streaming chiamata Netflix. Ci troviamo di fronte a un’ulteriore scelta: Stefan scopre la cassaforte del padre e noi possiamo decidere se fargli ritrovare un oggetto, paradossalmente fonte di tutti i suoi problemi di adulto, o documenti che testimoniano l’esistenza di un progetto governativo di controllo delle menti cui suo padre partecipa.

Qui emerge la genialità degli autori della serie: da quando ci hanno annunciato l’uscita dello speciale “interattivo”, ci hanno fatto credere che avremmo avuto il controllo di ciò che sarebbe accaduto durante l’episodio, che avremmo governato l’andamento della storia. In realtà abbiamo realizzato dopo aver guardato la puntata che, come Stefan, siamo stati controllati: infatti, quando compi una scelta “sbagliata”, sei costretto a tornare indietro e cambiare opzione; o può capitare che tu decida di far compiere un’azione al protagonista ma che egli si rifiuti; può accadere, addirittura, che ti diano una sola opzione su cui cliccare e il risultato è che, di fatto, non ti stanno proponendo una scelta. Forse perché le scelte, di fatto, non esistono.

Internet è ormai già pieno di schemi che appassionati della serie hanno tentato di fare per spiegare le varie ramificazioni perché, al contrario di ciò che si è pensato, i finali che la serie ci mette a disposizione sono diversi, e comunque tutto dipende dalle scelte che abbiamo/non abbiamo fatto.

Il finale, in ogni caso, ci mostra che cosa è accaduto all’innovativo videogioco programmato dal giovane Stefan, come verrà recensito dagli esperti e dalla televisione. In base alla direzione che abbiamo fatto prendere (o non prendere) alla vita del protagonista, infatti, cambierà la valutazione che verrà fatta di Bandersnatch.

Nonostante le critiche mosse nei loro confronti, i produttori di Black Mirror ci hanno presentato ancora una volta un prodotto innovativo, ed è indiscutibile la portata della novità. Il punto è che ormai non ci sorprendiamo più di nulla. In questo caso, in particolare, dovremmo pensare al fatto che la televisione ha circa settant’anni e i nostri nonni potevano a malapena scegliere quale canale guardare. Noi adesso, anche grazie a questo esperimento non da poco, abbiamo la possibilità di interagire in una maniera che va ben oltre quello che avremmo immaginato di poter fare solo qualche anno fa. E lo sappiamo tutti che i videogiochi interattivi esistono da sempre, così come i gamebook (peraltro anticipati da Julio Cortàzar con il suo Il gioco del mondo): quella che non esisteva era una televisione seriale interattiva e adesso, a quanto pare, c’è.

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Francesca Rubini è una studentessa al secondo anno della laurea magistrale in Editoria e Cultura della comunicazione all’Università degli Studi di Milano. Pugliese di nascita e milanese di adozione, si è laureata in Lettere Moderne e, durante quegli anni, ha coltivato interessi che spaziano dalla letteratura al cinema, fino al nuovo mondo delle serie tv, collaborando prima come redattrice, poi come editor alla rivista universitaria “Vulcano Statale”. Non ha sogni nel cassetto: per ora prende la vita così come viene. Ha una lunga lista di cose che le piacciono e una altrettanto infinita di cose che non le piacciono. Basti sapere che, per scrivere, attinge da entrambe.

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