Farà freddo, stanotte. Il vecchio lo sa.
L’erba dietro il cassonetto è ancora umida, la terra bagnata. E’ avida la terra, quando ha sete: ti macera la carne, ti pesta le ossa. Ti inzuppa le membra per rubarne il calore; per lei il tuo corpo è soltanto letame. Non basterà il telo di cellophane tra lui e la zolla del suo letto; e non basterà nemmeno il caffè di Mila. Il vecchio lo sa.
Una Peugeot rossa accosta al marciapiede. Lei scende. L’autista sta dicendo qualcosa, puntandole l’indice addosso. L’autista è il suo padrone.
«Vaffanculo», urla Mila, sbattendo la portiera.
Il padrone la guarda di sguincio e allunga un pugno verso il finestrino; resta lì, immobile, con il motore acceso. Il viso di Mila è dritto verso di lui. Tra lei e quel pugno serrato soltanto una crepa di vetro. Poi il padrone si gira e schizza via. Lo stridore dei copertoni è duro, come la sua lingua slava.
Mila si aggiusta la gonna sui fianchi, mentre fissa l’ultimo avvertimento allontanarsi all’orizzonte. Ha un buco nella calza di rete, piccolo. Un piccolo quadrato diventato rettangolo. Se lo lasci contemplare agli occhi, si può scorgere il candore della sua pelle.
«Ciao, vecchio».
Mentre gli passa il thermos di caffè, la sua voce ritorna soave, sulla bassa nota del mi. Sorride il vecchio.
«Ciao Mila». L’ha chiamata lui così. Quando Mila gli parla ha sempre un tono intimo e dolce, come il mi, appunto. Ma quando si rivolge ai clienti la sua voce cambia, è più vivace. Il giusto preludio del mestiere. Come il la, appunto.
«Lo sai che l’alcool scalda di più?», la punzecchia l’uomo, sorseggiando dal thermos.
Lei ride, mostrando i suoi denti nivei. Come la sua pelle. «Lo sai che con me non funziona, vagabondo».
«Che è successo?» le accenna, guardando nella direzione dell’auto schizzata via.
«Niente. E’ solo un bastardo». Mila non si accorge che la sua mano si sfiora la guancia. Non basta il fard a nasconderle il livido; non basta nemmeno il ciuffo corvino dei suoi capelli. La pelle ha i propri colori.
Con gesti accurati l’uomo aggiusta il cellophane dietro il cassonetto. Se dormirà sul fianco potrà appoggiarci la schiena; il metallo non regala umidità. Per lui la tua carne non serve a niente.
Mila guarda il telo. E l’erba bagnata: «Perché non vai a dormire dietro il deposito? Parlo io con la guardia. Fa freddo stasera».
«Come posso rinunciare alle tue note?». Lei ride. Conosce la storia del suo nome. Si ricorda bene del loro incontro: era la sua prima notte di lavoro su quel marciapiede. Anche quella sera faceva freddo e l’erba era bagnata. Il vecchio era lì, accovacciato dietro il cassonetto, su alcuni cartoni fradici.
Di ritorno dal suo terzo cliente, lei gli aveva portato un telo di cellophane. L’uomo le aveva chiesto come si chiamasse. «Non ho nomi sulla strada», gli aveva risposto. E lui, la sera dopo, l’aveva battezzata.
Mila, invece, il nome non glielo ha mai chiesto; semplicemente lo chiama vecchio o vagabondo, a seconda del grado d’amore con cui gli parla.
«Romeo è in ritardo, stasera», osserva il vecchio.
«Arriverà più tardi. Lavora di pomeriggio. Me l’ha detto ieri».
«E’ per Romeo che il padrone ti ha pestato?».
Mila alza le spalle, passeggiando sul ciglio del marciapiede. «E’ la solita storia, vagabondo».
Il vecchio lo sa che ai padroni non piacciono i clienti abituali. Soprattutto quelli che si stregano d’amore e si appostano, come sentinelle di reparto, per tutta la notte. Rovinano la piazza.
Romeo è uno di questi. Sono due mesi che trascorre le notti sul marciapiede di Mila, accucciato dentro la propria Punto grigia.
«Mila…».
«Sì?».
«Perché non lo sposi?».
Lei prima scoppia a ridere, poi il suo sguardo diventa serio. Guarda alla strada, come a riflettere i propri pensieri. Ma l’asfalto bagnato, sotto i lampioni, luccica solo di nero.
Poi si volta e scuote la testa: «Semplice, vecchio. Non lo amo». E’ il tono basso del mi.
«Che te ne fai dell’amore, Mila?».
«Non lo so, vagabondo. Forse non lo saprò mai. Ma il matrimonio è soltanto un marciapiede diverso».
Il vecchio si siede dietro il cassonetto e si stringe nel cappotto sgualcito. Toglie dalla tasca mezzo cartone di vino. Ne strappa un lembo.
Da lontano scorge due fari si stanno avvicinando. Lampeggia una freccia a destra. E’ Romeo.
L’uomo alza il cartone: «Alla tua, Mila».
Lei ritorna sul ciglio; la Punto grigia si è fermata. «A dopo, vagabondo», lo saluta.
Mentre Mila sta chiudendo la portiera, il vecchio scorge il rettangolo della sua pelle. Candido.
Basta un quarto d’ora per un turno di lavoro. Il vecchio lo sa. Il tempo che lui finisca il suo mezzo cartone di vino. Ma questa sera è l’ultimo cartone che ha e dovrà risparmiarlo per le ore più buie. La giornata non è stata feconda. Non lo sono mai le giornate di pioggia. I clienti dell’ingrosso lì accanto vanno di fretta sotto l’acqua, diventano scontrosi e non ti lasciano l’euro del carrello. Ma gli è venuta un’idea per la prossima pioggia.
Dovrà munirsi di un ombrello. I clienti lo dimenticano spesso. E forse lui potrà avere l’euro del carrello.
Mila sta rientrando. Lui lo capisce perché Romeo è l’unico cliente che, al ritorno, mette la freccia a sinistra. La riporta al lato giusto del marciapiede e poi si apposta poco distante, nello spiazzo d’accesso dell’ingrosso.
Ma c’è qualcosa che non va, stasera. La Peugeot rossa del padrone è arrivata poco dopo che Mila se n’è andata con Romeo. Fuma, il padrone, seduto al volante. Il vecchio osserva la brace della sigaretta ardere nervosa.
Quando Mila scende dalla Punto grigia, scende anche il padrone. Basta lo sguardo. Lei alza la mano, come a fermarlo. Si gira verso Romeo: è ancora lì sul ciglio, adagiato al volante della sua Punto grigia; immobile. Mila si avvicina al cassonetto e si piega sulle ginocchia. Il rettangolo è lì, sotto i suoi occhi. Chiudendo gli occhi può sentire l’odore della sua pelle.
«Ciao, vagabondo. Questa è l’ultima volta che ti saluto». Gli accarezza la guancia sporca, con le basse note del mi.
Il vecchio allunga soltanto un dito. Un tocco delicato, nel rettangolo. Poi prende il mezzo cartone.
«Alla tua, Mila».
Lei sale sulla Peugeot rossa. Mentre se ne va, Romeo la guarda dal finestrino della propria Punto grigia. Lui, quel rettangolo nella calza di rete, non l’ha mai visto.
FINE