Silvia Littardi – Il mare racchiuso tra me e te

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Si svegliò quando si accorse che le stava cingendo la vita con un braccio, avvicinandola a sé.

Sorrise mentre le baciava piano il collo e le spalle, ma tristemente: uscendo dal torpore, i ricordi e le preoccupazioni riprendevano colore, tornando vividi.
Era inutile parlarne ancora, rischiando di rovinare quelle ultime ore, così si limitò a voltarsi e a tuffare la testa nell’incavo della sua spalla, abbracciandolo e premendosi contro il suo petto.
Non lo vedeva, ma poteva quasi sentirlo sorridere con dolcezza mentre le accarezzava i capelli.

Ci stavano pensando entrambi, ma per un tacito accordo si poteva ancora fingere che non fosse così. Alla fine fu lui a rompere il silenzio: «È quasi ora». Lo disse con una punta di malinconia, ma con un tono che non lasciava spazio alle proroghe. Lei chiuse un attimo gli occhi e, con un sospiro, cacciò fuori l’indecisione: avrebbe avuto tutto il tempo per fare la lagna più tardi; adesso, decise, non era proprio il momento. «Tu vai pure a lavarti, io ti preparo qualcosa da mangiare e il thermos». Si diedero ancora un bacio, prima di sciogliere l’intrico dei corpi e alzarsi.

Guardando il mare dalla finestra ebbe un brivido; allora prese lo scialle blu dalla sedia, se lo gettò sulle spalle e tornò ad appoggiarsi al vetro, cercando di godere il tepore degli ultimi raggi della giornata. Tendendo l’orecchio riusciva a sentirlo muoversi nella camera. Ridacchiò ascoltando le brevi imprecazioni che accompagnavano la ricerca del vestiario. Nel silenzio della casa vuota le sarebbero mancate anche quelle. Alla fine comparve sulla soglia della cucina.

La prima volta che l’aveva visto indossava gli stessi abiti. Anche se allora era appena tornato. Lei e le sue amiche erano andate a vederli sbarcare per trascorrere diversamente il pomeriggio, per approfittare del raro evento in grado di spezzare la monotonia dell’anno. Doveva essere un gioco. Lui ci aveva scherzato sin dal primo momento: «Starò qui solo per sei mesi, ma non sarà un problema. Probabilmente ci stancheremo molto prima».
E come due cretini avevano finito con l’innamorarsi.

Si salutarono sulla veranda. Accompagnarlo sino al porto avrebbe solo prolungato lo strazio, senza contare che -lui non l’avrebbe ammesso- rischiava di metterlo in imbarazzo di fronte agli altri. Voleva evitare scene melodrammatiche: se fosse andata con lui avrebbe finito per sedersi sulla punta del molo, a guardare la nave allontanarsi sinché non fosse diventata un puntino all’orizzonte. No, era stato molto meglio baciarlo un’ultima volta sotto le fronde degli ulivi e poi guardarlo dirigersi verso la spiaggia. Per poi tornare in casa e finalmente piangere.

Sulla punta del molo ci andò lo stesso, ma a notte fonda. La prima sera non ce l’aveva fatta ad affrontare il letto vuoto, con il cuscino che conservava ancora il suo odore. Aveva divelto le lenzuola, disfatto la stanza, messo tutto alla serena ed era uscita. Trovò lo scoglio meno scomodo che le riuscì, si sedette e prese a fissare i mille frammenti di luce seminati tra le onde. Ci mancava solo la luna piena a sbeffeggiarla.

Erano già passati due mesi quando arrivò la prima lettera. Si impose di leggerla con calma e, quando vide la firma, non riuscì a trattenere un sorriso: le scriveva come se si fossero appena salutati, raccontandole buffi aneddoti sulla vita in mare e descrivendole i posti che aveva visitato. Nessun rimpianto, nessuna promessa. Solo nell’ultima riga si era lasciato scappare una punta di sentimentalismo: «Non riesco a smettere di pensarti». «Neanch’io» sussurrò lei.

Avevano parlato spesso del momento in cui si sarebbero divisi ed erano d’accordo che sarebbe stato inutile e crudele chiedersi a vicenda di aspettare. Si sarebbero salutati e basta, grati per quei mesi ma senza illusioni destinate a infrangersi. Si rigirò la lettera tra le dita ancora un momento prima di infilarla nel cassetto del comodino. Ringraziò mentalmente per quel regalo inaspettato, ma andò a dormire con la convinzione che non ne avrebbe ricevuti altri.

Le lettere arrivarono comunque. Non spesso, ma ogni due o tre mesi, regolarmente. Il tono era sempre lo stesso: tranquillo e spensierato, e le storie esotiche si intrecciavano ai piccoli dettagli.
Per qualche tempo continuò ad imporsi un cinico realismo. Prima o poi si sarebbe stancato, avrebbe incontrato un’altra: doveva essere preparata ad un futuro silenzio. Alla fine, però, non poté impedirsi di sperare, mentre ogni parola andava ad alimentare quella tenue fiammella.

«Questa è l’ultima lettera che riceverai da me». Sentì il cuore fermarsi, per poi riprendere a un ritmo folle. «Se riuscirò ad essere abbastanza veloce, quando leggerai queste righe sarò già arrivato, ma se così non fosse non preoccuparti. Sto tornando e questa volta, te lo prometto, ti toccherà sopportarmi molto più a lungo». Fece per correre fuori, ma si fermò sulla soglia sentendosi terribilmente stupida. Posò con delicatezza la lettera sul tavolo, sorrise guardando il disordine in cui versava la casa e si rimboccò le maniche.

Arrivata la sera lasciò che l’aroma del caffè riempisse la cucina, poi andò in camera. Tirò fuori dal cassetto il fascio di buste e, stringendolo come se fosse una reliquia, andò a sedersi sotto il portico. Con le lettere in grembo e la tazza accanto a sé si incantò per un attimo a osservare il mare in lontananza. La serata era fresca, ma non sentiva più i brividi.

FINE

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Silvia Littardi non prende mai decisioni dettate dal senso pratico. Infatti si è iscritta a Lettere Moderne. Ha conseguito una bella laurea triennale e poi una bellissima laurea specialistica in scienze della letteratura, del teatro e del cinema. In generale ha trascorso un quarto di secolo a studiare, passando il tempo libero a divorare libri e fumetti e a guardare tutti i film che poteva. Insomma, non ha ancora combinato nulla di buono, ma è contenta lo stesso, perchè ha avuto la fortuna di poter fare solo quello che le piaceva. Ora la povera ingenuotta spera di poter continuare così per tutta la vita. Forse potrebbe anche rinsavire e incominciare ad affrontare la dura realtà, ma quando si perde d'animo l'umanità la sorprende con risposte gentili e inaspettate. Allora ricomincia a scrivere.

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