Erano già le sette di sera e i biscotti erano ancora da impastare.
Con la solennità di un prete che indossa la stola, Margherita si annodò il grembiale inamidato. Prese una larga ciotola dallo scolapiatti e ruppe due uova. Con precisione chirurgica separò il tuorlo dall’albume. Versò il latte, dosò lo zucchero, la farina e il lievito. Divise a metà il panetto di burro che già si stava ammorbidendo e lo aggiunse al composto. Impugnò la frusta elettrica, ancora ordinatamente riposta nella sua scatola da imballaggio, e la azionò a velocità intermedia. Gli ingredienti si andavano amalgamando.
Accese il forno e ruotò la manopola della temperatura sui centottanta gradi. Stese la pasta e ritagliò con un coltellino una trentina di graziose sagome: fiori, stelle, piccole lune. Le forme furono deposte su una teglia imburrata e subito messe a cuocere.
Margherita corse in camera e scelse dall’armadio a quattro ante un abito di lana grigia, perfetto per una serata a casa di un’amica.
Da quanti anni trascorreva il venerdì sera da Maria? Ne aveva perso il conto.
Udì le chiavi che si infilavano nella toppa: Giovanni entrò in casa.
La valigetta da lavoro fu abbandonata sulla poltrona dell’ingresso. L’uomo varcò la porta del salottino e crollò sul divano davanti al televisore acceso.
Margherita corse a portargli le pantofole: aveva passato la cera proprio quella mattina e il pavimento risplendeva quasi quanto la fede nuziale che portava al dito.
Alle venti e quindici i biscotti furono estratti dal forno e disposti in una scatola di cartone rosa.
Il notiziario della sera era appena terminato e Margherita e Giovanni Osoppo poterono uscire dal loro appartamento.
Attraversarono l’angusto pianerottolo e suonarono alla porta di Maria.
Come da copione le donne si sfiorarono le guance. Maria porse la mano a Giovanni. I biscotti al burro furono accolti con la consueta sorpresa simulata.
Il terzetto fece il suo ingresso nel salotto, scenario di ogni loro venerdì sera.
Giovanni e Margherita presero posto sul divanetto a fiori. Le immagini di un quiz a premi scorrevano sullo schermo del televisore, ancora a tubo catodico.
Maria versò lo sherry nei bicchierini di cristallo e si accomodò sulla poltrona.
Giovanni lanciava fugacemente qualche occhiata alla tv senza volume. Le due donne cicalavano senza sosta.
Margherita si appoggiava languidamente alla spalla del marito e gli inviava casti baci, ostentando un’intimità che affiorava unicamente lì, nel salotto di Maria. La fede all’anulare, portata con la fierezza di una medaglia al valore, sembrava più lucente in quelle serate, come se la cera non fosse stata passata soltanto sul pavimento del salotto.
Margherita amava guardarsi riflessa negli occhi dell’amica ed era soddisfatta di ciò che vedeva: una moglie e un marito affiatati e ben assortiti che, ogni venerdì, illuminavano lo zitellaggio incolore della vicina di casa. Su quel divanetto a fiori ritrovava il suo orgoglio di donna sposata e, per una sera alla settimana, tornava ad amare suo marito.
Il giorno in cui Maria se ne andò, investita da un’auto quanto mai inopportuna, Margherita provò un netto disappunto al pensiero di tutti venerdì che l’attendevano, fattisi improvvisamente vuoti. Ma subito un brivido di eccitazione la percorse all’idea di debuttare dinnanzi ai nuovi vicini che avrebbero occupato l’appartamento della defunta.
Un vago senso di colpa le fece versare qualche lacrima, che andò ad aggiungersi all’impasto dei biscotti al burro.
Come ogni venerdì infornò i dolci e volò in camera da letto. Aprì l’armadio a quattro ante. Ne osservò il contenuto con aria critica. Poi sorrise.
Il raffinato pizzo nero, ricordo di un viaggio in Spagna, avrebbe adornato magnificamente il suo lutto di amica più cara.
FINE
Racconto tratto dalla raccolta “Fuori fa bel tempo” di Antonia Buizza, per gentile concessione di Prospero Editore.