Sara Guardo – Il viaggio di ritorno

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Lisa estrasse il biglietto dal portafoglio. Carrozza 6, posto 8D.
S’incamminò lungo la banchina della stazione. Lo sguardo scorreva rapido sui vagoni del treno: 11, 10, 9… 8!
Salì i pioli della scaletta uno alla volta. Il trolley rigido, tenuto con la mano destra, sbatteva ad ogni gradino facendo un rumore metallico: tac, tac, tac. Per fortuna i gradini erano solo tre.
Giunta finalmente sul treno, sbuffò. Il biglietto, nella mano sinistra, si era tutto stropicciato, stretto attorno al corrimano. Posò il bagaglio a terra e provò a sventolarsi un po’ d’aria sulla faccia proprio con il biglietto, ma essendo macerato fu più lo sforzo che l’effetto. Aprì il cappotto, lo sfilò e se lo abbandonò sul braccio destro.
Riprese in mano il trolley e, controllando per l’ennesima volta il posto assegnatole, premette il pulsante di apertura della porta automatica. Un odore acre e stantio le investì le narici. Si guardò attorno, spingendo lo sguardo fino in fondo alla carrozza. Non c’era nessuno.
Un accenno di sorriso le comparve sulla faccia. Eccolo lì: 8D. Vicino al finestrino, di fronte al tavolino. Alzò lo sguardo alla cappelliera: una valigia di pelle rossa era abbandonata poco distante. Roteò gli occhi al cielo ed emise un sospiro impercettibile. Guardò nuovamente a destra e a sinistra: nessuno. Forse qualcuno aveva dimenticato il bagaglio?
Sistemò il trolley, appoggiò il cappotto nel posto di fianco al suo e si sedette. Tastò con le dita sotto al tavolino fino a quando le sue dita trovarono il foro della presa. Aprì la borsa, sfilò il tablet e il filo per ricaricarlo. Indossò le cuffiette e selezionò la playlist di Spotify. Chiuse gli occhi mentre la prima canzone, dolce e malinconica, la avvolgeva. Nilla Pizzi cantava: Grazie dei fior, fra tutti gli altri li ho riconosciuti… Quante volte l’aveva sentita cantare da sua nonna da piccola!
Un turbinio di immagini le si affacciò alla mente mentre il treno partiva: lei che impastava insieme alla nonna, in piedi sulla sedia della cucina. Le melanzane al forno, che nessuno, nonostante la ricetta, era mai riuscito a replicare uguali. La storia del pesciolino d’oro che ogni mattina, davanti alla tazza del latte, era diversa e si arricchiva di nuovi dettagli. Le corse per andare a scuola, seduta sul portapacchi posteriore e attaccata al sellino della bicicletta mentre la nonna pedalava. Le sembrava persino di avvertire il suo profumo.
L’ultima volta che si erano sentite al telefono, Lisa le aveva promesso che presto sarebbe andata a trovarla. «Speriamo di riuscire a vederti». La voce, incerta, si era incrinata.
Due lacrime le scesero silenziose sulle guance. Senza aprire gli occhi, le asciugò con la mano.
Non c’era quando era mancato il nonno, non era ancora nata. Di lui sapeva solo quello che le aveva raccontato la nonna: una storia d’amore come nelle favole, inquinata dalla guerra e da quello che, inevitabilmente, gli aveva lasciato dentro. Nemmeno suo padre era stato presente e la nonna, ogni volta che raccontava pezzi del suo passato, terminava sempre allo stesso modo: «Poi sono rimasta sola: il nonno mi ha lasciato, tuo padre non c’era…». Lei doveva esserci adesso.
Le sue dita presero a tamburellare sul tavolo. Si sistemò meglio sul sedile: era scivolata tutta da un lato. Guardò fuori dal finestrino: la pioggia segnava il vetro con piccole strisce discontinue. Lungo le rotaie si vedevano solo arbusti. Nessun cartello, nessun cenno di civiltà.
Estrasse il cellulare dalla borsa: le sette e ventotto. Era passata solo mezz’ora.
«Buongiorno, mi hanno assegnato questo posto».
Alzò lo sguardo. Un signore anziano le stava sorridendo, indicando il posto di fronte a lei.
Lei guardò la valigia rossa sulla cappelliera e poi tornò a guardare il vecchio.
«Si, è la mia. Sono andato in bagno ma poi ho sbagliato vagone, non riuscivo più a trovare il mio posto. Sto tornando a casa, per un funerale. Manco da tanto tempo, ma adesso devo esserci. Voglio che le persone che amo sappiano quanto tengo a loro».
«Fa bene, è importante». Lisa aveva un nodo in gola. Abbassò lo sguardo e fece ripartire la musica. Poi chiuse nuovamente gli occhi.
Il dondolio del treno la cullava e le faceva oscillare la testa.

***

«Signorina?».
Una mano le stava scuotendo la spalla. Lisa aprì a fatica gli occhi. L’anziano era chino su di lei, sorridente.
«È ora di pranzo. Le va un po’ di pane e salame? Ho anche una bottiglia di buon vino bianco» soggiunse strizzando l’occhio.
La pancia di Lisa iniziò a brontolare. Si stropicciò gli occhi, si tolse le cuffiette dalle orecchie e le ripose nella loro custodia. Davanti a lei, sul tavolino, erano comparsi un panino farcito di salame e un bicchiere di carta. Sorrise, ringraziò e approfittò della gentilezza divorando il panino.
«È buonissimo, grazie. Non mi ero accorta di avere così tanta fame».
«Quand’ero piccolo era la mia merenda preferita. La preparavo sempre a mio figlio. Purtroppo non ho potuto fare lo stesso con i miei nipoti». Gli occhi gli s’inumidirono. Girò lo sguardo verso il finestrino, fissando per qualche secondo un punto lontano. Poi tornò a guardare Lisa, con aria interrogativa.
«Io sto tornando a casa, da mia nonna. È molto anziana e non sta bene. Secondo lei è possibile far sentire il proprio amore a qualcuno anche quando non gli si è vicino?».
«Penso di sì. Spero di sì». Mentre le rispondeva, l’anziano giocava con un anello che aveva all’anulare sinistro, girandolo con le dita dell’altra mano. Era una fedina con al centro un brillantino nero.
Lisa lo fissò per qualche secondo. « È molto bello.»
«Era di mia madre. Avrebbe voluto regalarlo alla sua prima figlia, ma ha avuto solo me, e anch’ io ho avuto un figlio maschio. Speravo di poterlo passare a mia nipote».
Il cellulare di Lisa iniziò a squillare, illuminando lo schermo. Sgranò gli occhi e il suo dito scorse rapido sullo schermo per sbloccare la chiamata. Portò il telefono all’orecchio e chiuse gli occhi. Trattenne il respiro per un paio di secondi e poi espirò un flebile: «Papà? Sì, ho capito. Sono quasi arrivata. Appena scendo corro a prendere il taxi».
Abbassò il telefono e rimase immobile, assorta, per qualche minuto. Le sue guance ripresero pian piano colore. Aprì gli occhi: il posto di fronte a lei era vuoto. Istintivamente alzò lo sguardo verso la cappelliera, ma la valigia rossa non c’era più. Accanto al bicchiere di vino c’era qualcosa che brillava: era la fedina del vecchio signore.
Si alzò: come prima, nel vagone non c’era nessuno.
Prese l’anello e si diresse verso il corridoio: il controllore era appoggiato alla parete, vicino alla porta.
«Ha visto passare un uomo anziano con una valigia rossa?»
«Gli ultimi tre vagoni del treno sono completamente vuoti, non c’è nessuno a parte lei».
Lisa corse a guardare nei vagoni vicini: vuoti!
Tornò al suo posto, mise l’anello in una tasca e tirò giù la propria valigia.
Avrebbe voluto fermarsi all’ufficio oggetti smarriti, ma non c’era tempo.
Uscì di corsa dalla stazione, trascinando il trolley. Arrivò ansimante al parcheggio dei taxi e diede l’indirizzo. Teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino: ecco la rotonda, poi il semaforo. Ancora due strade e poi la casa della nonna.
Pagò il tassista e corse su per le scale. Suo padre l’aspettava sulla porta. «Sbrigati, manca davvero poco».
Entrò in camera, si avvicinò al letto e prese la mano della nonna tra le sue. «Sono qui».
Lei aprì gli occhi, appoggiò l’altra mano sulle sue e le sorrise. «Tu sei sempre stata qui. Adesso è ora che io vada dal nonno». L’indice della sua mano, tremolante, indicò la fotografia che teneva da sempre sul comodino: lei e il nonno da giovani, sorridenti poco dopo essersi fidanzati. Lui l’abbracciava da dietro, la mano sinistra appoggiata sulla spalla di lei. «Sono sicura che ti sarebbe piaciuto».
Lisa prese la foto e se l’avvicinò agli occhi: all’anulare sinistro del nonno c’era una fedina con un brillantino nero incastonato nel centro. Infilò la mano in tasca, tirò fuori l’anello dimenticato dal vecchio sul treno e sorrise. Guardò la nonna. «Sono sicura anch’io che il nonno mi sarebbe piaciuto».
Baciò la nonna sulla fronte e le appoggiò la testa vicino alla sua spalla.
La nonna emise un sospiro di pace. Finalmente poteva lasciarsi andare.

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