Stoner è la storia senza storia di un uomo mite che nasce contadino e, fulminato da un sonetto di Shakespeare, si trasforma da studente di agraria senza pretese in studente di letteratura, poi in ricercatore e infine in docente di una cattedra di Inglese all’Università di Columbia.
È un’esperienza assolutamente empatica quella che John Williams ci regala chiedendoci di vivere la vita di Stoner, non a caso nominato sempre con il solo cognome. Se si esclude la sua breve storia d’amore, vive è un’esistenza apparentemente banale e priva di emozioni, ma in realtà pulsante di grandi sconvolgimenti interiori che mai affiorano alla superficie. Due mondi, quello interno e quello esterno al protagonista, che si sfiorano solamente, che viaggiano a velocità differenti, mettendone in luce l’incapacità comunicativa e facendo splendere odio e amore come facce indissolubili dell’esistenza umana.
Un libro che parla di tutti noi che nasciamo, viviamo e moriamo senza apparentemente lasciare traccia della nostra esistenza. Vite vissute, spesso, con grandi intensità ed emozioni, a dispetto di una quotidianità che ci vorrebbe muti e rassegnati.
Un testo riscoperto recentemente, a cinquant’anni dalla sua prima pubblicazione, che non soffre dell’assoluta mancanza di invenzione letteraria nella trama, e che si esalta nel farci palpitare a ogni pagina con la lucida logica del suo protagonista, senza alcuna retorica.