È con la fine brusca di un affido che prende vita il romanzo L’Arminuta, in dialetto abruzzese la ritornata.
La vicenda, ambientata nell’Abruzzo degli anni Settanta del secolo scorso, ha come protagonista una tredicenne priva del nome di battesimo che si trova catapultata in una realtà completamente sconosciuta, un microcosmo abitato da nuovi genitori, fratelli e una strampalata sorella. È il ritorno a una famiglia mai saputa e sconosciuta, un abbandono tragico e inaspettato da parte di quelli che credeva i propri genitori: un colpo al cuore. Ma è anche la storia di un’adolescente, narrata in prima persona dall’Arminuta ormai donna matura; e soprattutto è una storia di sorellanza.
Donatella Di Pietrantonio non usa una scrittura rassicurante; anzi, il linguaggio è aspro, doloroso, ricco del dialetto abruzzese, a volte difficile. Lo sforzo richiesto nella decrittazione, però, porta a riflessioni e a cambi di velocità necessari a calarci in una realtà altrimenti troppo estranea. Una volta assorbiti dallo stile inconsueto si rimane intrappolati e, nonostante le difficoltà dei protagonisti, il cammino procederà spedito.
Tratti di poesia si mescolano al disagio di alcune situazioni, interessanti suggestioni si fondono all’imbarazzo della protagonista, con una cura particolare al mondo astratto degli odori.
Molte le domande dell’autrice che, lasciate senza risposte, portano in modo serrato fino all’epilogo. Una riflessione su chi siamo e da dove veniamo; uno sguardo sul rapporto fra madre e figlia, sulla scelta più o meno consapevole della maternità.
Una lettura consigliata a chi da una storia pretende risonanze di carattere universale.