Taxi Driver

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Taxi Driver è la storia di Travis Bickle, un ventisettenne reduce dalla guerra in Vietnam che, a causa della sua insonnia, decide di fare il tassista: passa così le sue notti bianche a raccattare criminali dai sudici marciapiedi della Grande Mela. Vive in un monolocale squallido, dalle pareti ingiallite e scrostate, che rispecchia perfettamente la sua anima: spoglia, inospitale, inadatta ad essere abitata e condivisa. Ed è così che si sente: incapace di relazionarsi con gli altri, solo e destinato a rimanere tale. Si rende conto che nell’isolamento l’esistenza è vana, perciò ha bisogno di uno scopo, qualcosa che dia senso alla sua vita: lo cerca nell’amore, che si diverte a spiare nelle sale dei cinema a luci rosse e che poi trova nell’ufficio del comitato elettorale del senatore Palantine. Qui incontra Betsy, donna sola quanto lui, che inizia a frequentare, facendogli credere di non essere più solo. Tuttavia, Betsy si rivelerà una donna insensibile alle sue problematiche e lo abbandonerà a una rinnovata solitudine che lo porterà alla psicosi. Deluso e distrutto dall’amore, cerca un nuovo senso alla propria vita e l’idea prende forma nelle sue traversate notturne, durante le quali ha modo di conoscere puttane, tossici, criminali: tutta immondizia umana che ogni notte sale sul suo taxi. Così trova il suo nuovo obiettivo: ripulire la città. Si rende conto che la causa del suo male è la stessa che affligge la metropoli: l’insensibilità. L’insensibilità di Betsy è causa del suo dolore quanto quella delle istituzioni è colpevole del degrado cittadino. Le due cause, nella sua mente, si fondono per impersonificarsi nella figura del senatore Palantine, candidato alla Presidenza degli Stati Uniti sostenuto da Betsy, che, sebbene si autoproclami portavoce del popolo, si rivela indifferente alle sue problematiche. Travis si elegge giustiziere e inizia a programmare un attentato a Palantine. Nel frattempo conosce Iris, una prostituta minorenne che sale sul suo taxi nel tentativo (fallimentare) di sfuggire al suo protettore. Il tassista cerca di convincerla a tornare dalla sua famiglia e a cambiare vita, ma lei rifiuta il suo aiuto. Ora ha due scopi: salvare Iris dal suo protettore e l’America da Palantine. Quando l’attentato fallisce, cerca comunque di realizzare il suo obiettivo correndo da Iris e salvandola. Così facendo, esce dall’anonimato e viene acclamato come un eroe dai suoi concittadini. Travis riesce finalmente a dare senso alla propria esistenza, riuscendo così a sopportare il peso della solitudine.

Il sodalizio Scorsese/De Niro (iniziato nel 1973 con Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno) non delude mai e con questo film lascia il segno nella storia del cinema, ispirando altri film più recenti, come per esempio Joker di Todd Phillips. Iconica la scena di Robert De Niro che parla da solo davanti allo specchio, totalmente improvvisata dall’attore. La pellicola si aggiudica 4 nomination agli Oscar, tra cui la prima per la piccola Jodie Foster che, allora quattordicenne, venne trattata con un occhio di riguardo da parte della produzione: nelle scene più cruente fu infatti sostituita dalla sorella maggiore Connie e, per evitarle traumi infantili, fu affiancata da uno psichiatra durante tutto il processo di realizzazione del film.

Martin Scorsese riesce a fondere esistenzialismo e critica sociale in questo film noir dai tratti hitchcockiani (la colonna sonora è scritta da Bernard Herrmann, lo stesso compositore di ben otto film di Hitchcock, tra cui Psycho). Nell’America degli anni Settanta, infatti, una delle problematiche sociali più urgenti era quella del reinserimento dei reduci del Vietnam che, soffrendo di disturbi da stress post-traumatico, erano alienati, isolati, faticavano a relazionarsi con gli altri e a trovare lavoro. Altro problema sociale (dell’America di allora, ma anche di oggi) è poi il degrado dei bassifondi della Grande Mela, le cui strade di notte sono dominate dai gangster. La genialità del regista sta in questo connubio tra temi sociali e filosofici: ispirandosi a Sartre e Camus, dipinge l’insensatezza dell’esistenza umana, che si rivela più che mai nella solitudine.

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