Nel futuro le macchine del tempo saranno illegali, ma se in possesso della malavita le useranno per mandare nel passato le loro vittime da assassini detti “Looper”…
I viaggi nel tempo hanno sempre affascinato gli autori e lettori sia di letteratura che di cinema.
Da Mark Twain con “Un Americano alla Corte di Re Artù” a James Cameron con “Terminator”, gli amanti del genere hanno premiato opere che ne hanno raccontato varianti e possibilità.
“Looper”, scritto e diretto da Rian Johnson, ha un’ottima partenza in un’ambientazione un po’ banale ma essenziale tra degrado sociale, crisi energetica e poteri psichici (che all’inizio sono solo accennati, ma saranno rilevanti nel finale “a sorpresa” un po’ troppo forzato).
Poi però tutto si perde in un mare di confusione e rimane solo lo spunto di partenza: quello dei “Looper”. Si tratta d’assassini pagati per “terminare” vittime mandate dal futuro da un gangster chiamato “Lo Sciamano” (“Rainmaker” in originale) che fatte apparire in un punto preciso, in un campo di granoturco vicino a un inceneritore, sono uccise nell’istante in cui appaiono per poi essere bruciate. Purtroppo per loro, i Looper hanno un “contratto a termine” e un giorno potrebbero ritrovarsi ad ammazzare se stessi. Quando capita al protagonista (Joseph Gordon-Levitt) che riconosce nel suo ultimo contratto se stesso invecchiato (Bruce Willis), decide di cambiare le cose salvando Willis e mettendosi così contro gli scagnozzi del gangster scatenando la caccia all’uomo.
Nello sviluppo ingarbugliato della sceneggiatura la pellicola ricorda molto da vicino “Ritorno al Futuro – Parte 2”, senza la simpatia di Zemekis, con la noiosa pretesa di prendersi sul serio.
“Looper” ha una trama talmente assurda che gli stessi protagonisti si rifiutano di spiegarla: “Non voglio parlare della merda dei viaggi nel tempo. Perché se iniziamo, rimaniamo qui tutto il giorno a parlare, facendo diagrammi con le cannucce” dice Willis quando incontra Lewitt alla caffetteria.
Del resto gli spettatori sono solo un mucchio di scimmie paganti che sbertucciano sgranocchiando popcorn, magari guardando annoiate il cellulare invece del film (in effetti).
Il film poi si addormenta nella seconda parte – e noi pure – aspettando il finale a sorpresa che sembra uscito da un racconto di Katsushiro Otomo (Akira). Nell’attesa che tutto si compia, vediamo Bruce Willis andare in giro ad ammazzare gente come fosse in Die Hard mentre Lewitt ha ovviamente tutte le scene romantiche con la bellona di turno (con bimbetto stronzo a seguito).
“Looper” ha una discreta partenza, una parte centrale soporifera, e un finale più che a sorpresa diciamo ingiustificato. Un Loop(er) che alla fine non si chiude. Due ore di vita buttate che non ti torna nessuno (per tacere dei soldi spesi).
Viene da consigliare al povero Bruce Willis, veterano di film di viaggi nel tempo dopo “L’esercito delle 12 scimmie” e “Faccia a Faccia”, di evitare film indipendenti finto intellettuali che alla fine sono peggio della Hollywood mainstream o al limite di produrli e basta come fa da tempo Danny De Vito. Ai registi indipendenti diciamo di non preoccuparsi che il loro film sia solo intrattenimento e aver la cortesia di non propinarci per due ore il ritrito messaggio di “essere padroni del proprio destino”. Se un regista ha intenzione di fare un film senza spiegazioni (perché tanto lo spettatore è fesso) usando una star di hollywood cui far dire cazzate metafisiche per poi rigirargli un mitra in mano, magari dovrebbe avvertirci prima. E se ci s’innamora troppo di quello che si scrive, ma quello che si scrive non funziona, venderlo come film d’autore lo perdoniamo solo a David Lynch.