Ancora una volta, tornando a parlare di letteratura giapponese, ho pensato a un titolo che fosse lontano dai luoghi comuni tanto amati dai lettori occidentali ma che descrivono solo in minima parte la società stratificata e spesso in contraddizione del Giappone moderno.
Nei panni di un cronista, Yasunari Kawabata segue le vicende dei membri della Banda Kurenai, una strampalata compagnia teatrale di Asakusa, quartiere popolare di Tokyo radicalmente rimodernato già in epoca Meiji e che nei primi anni dell’Era Showa era divenuto punto di riferimento della vita artistica della capitale.
Nella sua cronaca, dettagliata e densa, l’autore descrive i rumori e le canzoni della strada, gli effluvi della città, il cibo preparato nei piccoli ristoranti, le forme in continuo movimento e i colori, tra cui spicca il rosso, filo conduttore del racconto, per ritrarre Asakusa attraverso la percezione dei sensi. Riesce così a restituire l’immagine del quartiere in quello che fu il suo ultimo periodo di splendore, quando era frequentato da folle di visitatori attratti dai suoi teatri d’avanguardia, dai cinema e dalle sale da ballo dove suonavano incessanti jazz e charleston. La brulicante vita del quartiere è descritta poi attraverso i suoi edifici, dai bagni pubblici ai nuovi ponti ricostruiti dopo il devastante terremoto de 1923, fino al celebre grattacielo, primo a Tokyo, simbolo della modernità e della vivacità; incarnate, queste, anche dalla folla di giovani, tacciati di dissolutezza dai conservatori, vestiti e pettinati secondo la moda occidentale e che si muovono con naturalezza nella folla di aspiranti attrici, cameriere, fanciulle povere destinate alla prostituzione, studenti, mendicanti, lavoratori sfruttati, furfanti di ogni risma che animano le strette strade. Yasunari Kawabata dipinge un quadro realistico e impietoso delle condizioni di vita dei ceti popolari nipponici negli anni Trenta, colpiti duramente dalla crisi economica; e sceglie di raccontarli soffermandosi sulla loro forza, sul loro slancio vitale e su una delle più genuine caratteristiche dello spirito nipponico: la capacità di sopportare con coraggio e umorismo le conseguenze delle proprie scelte esistenziali.
Eppure, dietro all’entusiasmo per la modernità, si percepisce ancora l’ombra di Edo, la capitale dei Tokugawa, evocata ora attraverso i racconti e le leggende popolari che ancora circolano tra gli abitanti di Asakusa, ora attraverso il fortuito incontro con una geisha che si reca a un appuntamento, ora con l’accostamento del jazz ai suoni del joruri, mentre accanto ai grattacieli sopravvivono quieti gli antichi templi. Gli stessi abitanti del quartiere continuano a seguire gli antichi codici di lealtà e a osservare le gerarchie tradizionali con le loro imposizioni, anche quando sfoggiano l’ultimo taglio di capelli delle dive del cinema come nel caso di Yumiko, la protagonista del romanzo, che persegue incessantemente la vendetta contro l’uomo che anni prima ha rovinato la vita della sorella maggiore.
Il lettore avvezzo allo stile elegiaco e sorvegliato del Kawabata più maturo potrà rimanere disorientato dalla prosa frammentata e dal tono scanzonato di questo romanzo giovanile, non sempre ottimamente tradotto, nel quale traspare l’amore dell’autore per la sua città e per i suoi quartieri, ma anche la sua lucida capacità di descrivere e analizzare il proprio tempo e le sue contraddizioni.
Se vi sentite coraggiosi, fate un giro ad Asakusa.