Vieri Peroncini e Antonello Bifulco – A Sud di Nessun Nord

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Dove i sogni non esistono, non rimane che drogarsi di stelle 

Dicono sempre di non giudicare un libro dalla copertina: scienza non del tutto esatta. Dicono anche di non giudicare un libro dal titolo: algoritmo discutibile e alquanto soggettivo.
Entrambi questi postulati implodono o, meglio, vengono bardati fino al collo di dinamite e fatti saltare in aria nell’opera di Antonello Bifulco e Vieri Peroncini. Qua, prescindere da titolo e copertina è un’impresa impossibile e inattuabile.
Se fossimo in una fiaba, questa silloge darebbe precise e dettagliate coordinate geografiche per sbarcare sull’Isola Che Non C’è. Già dal titolo, infatti, i due autori friulani non potevano essere più limpidi e accurati nel dispensare indicazioni verso le località amene di Ovunque e Da Nessuna Parte nello stesso momento.
Già dalla copertina, il disegnatore Stefano Tartarotti non poteva essere più diretto per racchiuderne i temi essenziali, fuoriuscenti dai cervelli in fermento dei due poeti: una vasca da bagno/doccia; una pistola che fa bang; una nuvola; un’ape confusa; un orologio;  la luna; la lettera D; un cerotto; una tazza di caffè fumante; Bartleby, il personaggio melvilliano; una goccia; le montagne.

Dove porta la poesia? Lettrici e lettori, viaggiatori e viaggiatrici, vi presento il libro che conduce esattamente dove siete diretti: A Sud di Nessun Nord (Qudu Libri, 2022).
Eccola qui, l’indicazione improbabile per un luogo che non esiste. È la promessa di riuscire finalmente a smarrirsi in questo mondo assurdo o l’ammonimento a fare attenzione ai dislocamenti propri della de-territorializzazione e de-sincronizzazione dell’odierna società globale, sensibilmente teorizzati dall’antropologo Arjun Appadurai? 
La prima, la seconda, entrambe, nessuna.
Se c’è una cosa che insegna questo libro è che tutte, alcune o anche nessuna risposta vanno bene. È tutto questione di variabili, in questa umanità polverizzata dove, “oltre le trincee dei nostri miraggi”, esistiamo in “una superficie che brilla/di inutili percezioni”, disillusi e scoordinati “come la musica che sbaglia i tempi”; confusi ma saldi e forse salvi “come i muri che si affacciano ai ponti/chiudendone il passo”. In questa battaglia contro le fattezze dei punti cardinali, “abbiamo deciso di vivere ai margini”. D’altronde, nel condurci alla destinazione richiesta, a volte, anche Google Maps va in stallo e ci lascia lontani dal punto d’arrivo, in un non-luogo, dove non rimane che guardarci allo specchio, essere onesti e cercare di comprendere “quante e quali geometrie d’amore/governeranno ancora questo mondo”. È esattamente qui che ci guidano i due autori. Un luogo complesso, fatto di moltitudini e solitudini, unioni e separazioni: “Coppie si consumano di abbracci/singoli si consumano di solitudine”; altri se ne stanno pensierosi nell’intento di disvelare “quale il senso e l’illusione/di proseguire questa nostra unione”.

A livello di stile e contenuti, questo lavoro a quattro mani asserisce espliciti rimandi poetici-letterari che spaziano in una varietà galattica di allusioni e simbolismi. Da un lato, A Sud di Nessun Nord è anche il titolo di una raccolta di racconti di Charles Bukowski, pubblicata nel 1973 e ritenuta della critica uno dei suoi lavori migliori. L’influsso bukowskiano dona a queste pagine un ritmo veloce scandito da immagini semplici e quotidiane, brutali nella loro delicatezza, vestite in ghingheri per una serata presso il galà più dolce-amaro mai organizzato. Dall’altro, il personaggio di Bartleby, tratto dall’omonimo racconto Bartleby lo Scrivano: Una Storia di Wall Street del 1853 di Herman Melville, rappresenta tutta la disperata condizione post-moderna dell’uomo contemporaneo, contagiato da una lancinante solitudine, un’esagerata individualità e una terribile inedia. Di riflesso, queste poesie racchiudono l’istantanea di una società perduta che non trova il sud del proprio nord perché, la sua, è una logica in cui “si recide tutto, tutto è sacrificabile”. Nell’aridità tragicomica di un panorama che oscilla tra utopia e distopia, la realtà abbandona i suoi abitanti in un parco o su un viale e li costringe a guardare impassibilmente l’immobilità di “alberi senza più una danza”.

Intrappolati nelle nostre “ansie di seconda mano”, ci ritroviamo svegli e insonni. Sono le quattro del mattino e pure i cuscini ci ignorano; abbiamo finito le parole con ancora addosso l’odore dell’“ultimo toscano fumato per noia”; osserviamo la vita in bilico sul balcone, mentre i sogni sulle giostre ci raccontano le fiabe dei morti e dei satelliti che girano senza meta. È un’esistenza in cui stiamo con la testa fra le mani fino a disidratarci di lacrime; in cui stiamo bene solo quando riusciamo a perdere la memoria di questa stessa vita mentre siamo ancora vivi, mentre cerchiamo di sniffare “l’equilibrio dei passi sui binari del silenzio”. Eppure andiamo avanti, continuiamo a respirare, sorridere, piangere, andare a dormire, rimanere svegli, fare il caffè, tutto e molto altro, pur di riuscire tornare a casa, la sera, ed affermare “anche per oggi/il mio posto nel mondo/me lo son guadagnato”.
Proseguendo nella sceneggiatura poetica del nostro duo, attorno si intravedono palloncini che devono riprendere fiato; segnali di pericolo che ci ammoniscono di non addormentarci nella vasca da bagno a causa del rischio di scioglierci giù per lo scarico. Ci guardiamo le mani, le riscopriamo piene di tagli perché abbiamo impugnato i coltelli dalla parte sbagliata, un gesto automatico, quasi come quando sovrappensiero si accende la sigaretta per il filtro, ma molto più dannoso, autolesionista e letale.
A Sud di Nessun Nord è il luogo dove le lumache provano ad essere pazienti e ad andare piano tirando il freno a mano, mentre noi corriamo maratone interminabili su “elenchi di cose non fatte, successi evitati” per cercare di raggiungere persone ideali che non saremo mai.

Uno dei punti più forti di questo esperimento di scrittura duale è la diversità interna di composizione e contenuti. Anche ad un veloce primo sguardo, dal punto di vista grafico, tra le pagine compaiono poesie brevissime e alcune più corpose; alcune intitolate, altre senza titolo; tre brevi brani in prosa; un’ode alla lettera D, in pura chiave dadaista; e una ballata onomatopeica sperimentale e surrealista dove compaiono 24 versi di sole parole-suoni come boh, sgrunt, burp, gnam e bang.

Con l’ironia di Cip e Ciop, la lealtà di Batman e Robin e l’abilità investigativa di Sherlock Holmes e Watson, la partita di tennis tra Bifulco e Peroncini sembra rimbalzare tra le parole di Anthem del cantautore-poeta canadese Leonard Cohen, “Suona le campane che ancora possono suonare/dimentica la tua offerta perfetta/c’è una spaccatura in ogni cosa/ed è da lì che entra la luce”; mentre dall’altra parte del campo giunge la ribattuta lapidaria: “la risposta, amico mio, sta soffiando nel vento”, da Blowin’ In The Wind di Bob Dylan.

Allora, quando il “silenzio [avrà] smesso di tacere”, ci riscopriremo prosciugati di cose da dire e, anestetizzati fino al midollo, “torneremo ad essere foglie sottili”. Davanti a un universo così annoiato e a tratti quasi spacciato, dove “i sogni non esistono”, non rimane che drogarsi di stelle. Nonostante tutto, alcune tracce di speranza brillano come lucciole scariche ma ancora vive: anche se la meta, il luogo in cui stiamo andando non esiste, è ancora possibile “praticare gentilezza a casaccio e atti privi di senso” e fermarsi “in piedi sulla sedia a cercare la luce di un altro giorno”.

Dicono di non giudicare mai un libro dalla copertina o dal titolo. Quest’opera obietta che non funziona esattamente così. E anche se fosse, al diavolo tutto, andiamo a prenderci la luna.


Potete “assaggiare” le poesie di “A sud di nessun nord” qui:
Va bene, mi prendo la luna
Acqua salata

 

 

 

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